di Silvia Sottile
Ultimamente vanno molto di moda le commedie nere, con
repentini cambi di registro, ma c’è anche un’abbondanza di film con
un’ambientazione di stampo teatrale, che si svolgono in una sola notte, in un
appartamento, intorno a un tavolo. Tanto per fare qualche esempio possiamo
citare Il nome del figlio di
Francesca Archibugi (remake del francese Cena
tra amici) e il fresco trionfatore ai David di Donatello, Perfetti Sconosciuti di Paolo Genovese. Perché, si sa, durante una cena può davvero
succedere di tutto. E se i dialoghi sono ben scritti, la messa in scena può
offrire molte opportunità. Questo è anche il caso de Il Ministro, film indipendente scritto (in 10 giorni) e diretto (in
sole tre settimane di riprese) da Giorgio Amato, una graffiante black comedy
sui vizi italici, in cui alla fine non si salva davvero nessuno.
Franco Lucci (Gianmarco Tognazzi) è un imprenditore
sull’orlo della bancarotta. Per salvare la sua società dal fallimento deve a
tutti costi ottenere un appalto. Invita così a cena il Ministro Rolando Giardi
(Fortunato Cerlino), organizzando insieme al cognato Michele (Edoardo Pesce) quella
che sembra la serata perfetta per corromperlo: vini e piatti prelibati, una
cospicua tangente e una ragazza disposta ad andare a letto con lui. Il tutto
sotto gli occhi di Rita (Alessia Barela), la frustrata (e vegetariana) moglie
di Franco, e della domestica Esmeralda (Ira Fronten). Ma se la presunta escort
di lusso è una cinese che studia teologia? A causa della ragazza, Zhen (Jun
Ichikawa), le cose prendono infatti una piega molto diversa (e ben più
drammatica) del previsto.
I toni sono quelli della commedia grottesca ma ne esce fuori
un ritratto amaro dell’Italia. Non emerge solo la corruzione dilagante nel
mondo della politica e dell’imprenditoria ma anche (se non soprattutto)
quell’atteggiamento tipico di asservimento al potere insito nella nostra natura
che traspare dalla bassezza dell’animo umano di tutti i personaggi (maschili e femminili)
che popolano il film.
La messa in scena è decisamente di stampo più televisivo che
cinematografico, e le musiche anni ’70 di Eugenio Vicedomini sono belle ma
troppo martellanti e onnipresenti. Anche i personaggi risultano a tratti
stereotipati ma riescono comunque ad emergere e a lasciare il segno grazie alle
ottime interpretazioni di tutti i protagonisti, decisamente in parte. Le
commedie nere, specie con una grossa componente grottesca, bisogna saperle fare:
Il Ministro può vantare una
scrittura, una regia e soprattutto un cast all’altezza. Quello che manca è
dovuto principalmente ai pochi mezzi a disposizione per questo lavoro e
purtroppo si vede. Pecca infatti nelle rifiniture e si perde in alcuni dettagli,
che con più tempo a disposizione probabilmente sarebbero stati smussati. A non
convincere fino in fondo è il finale, che lascia comunque l’amaro in bocca.
Il regista ci ha rivelato in sede di conferenza stampa di
essersi ispirato alla ballata di Fabrizio De Andrè, Il re fa rullare i tamburi, ma anche a I Mostri di Dino Risi, in particolare il primo episodio, L’educazione sentimentale con Ugo Tognazzi, padre di Gianmarco. Le ambizioni
elevate sono in parte giustificate dal risultato: nonostante i difetti e i
dubbi espressi, a cui aggiungiamo l’eccessivo maschilismo, Il Ministro si rivela infatti un film decisamente migliore di
quanto il trailer facesse presagire. Considerato poi quanto è difficile
realizzare un film indipendente in Italia, possiamo apprezzare lo sforzo
realizzativo e produttivo di Amato e il coraggio di Europictures che ha creduto
nel progetto.
Il
Ministro, in
sala dal 5 maggio (in sole 20 copie ma ben piazzate nei maggiori circuiti
cinematografici, ovvero UCI Cinemas e The Space Cinema) presenta, con i toni
della commedia grottesca, una critica sociale tanto forte quanto, purtroppo,
assolutamente reale.
Alcuni scatti in conferenza stampa presso la Casa del Cinema (Roma): Gianmarco Tognazzi, il regista Giorgio Amato, Alessia Barela, Ira Fronten
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