Ghost in the Shell,
diretto da Rupert Sanders, è l’adattamento cinematografico dell’omonimo manga di
ambientazione cyberpunk del fumettista
giapponese Masamune Shirow (1989) da cui era già stato tratto un bellissimo anime datato 1995. Questa nuova versione
hollywoodiana in live action, attesissima
ma allo stesso tempo temuta dagli appassionati del fumetto originale, è stata
accompagnata da alcune critiche (rivelatesi sterili, in fin dei conti, dato che
la trama giustifica pienamente la decisione presa)
relative alla scelta della protagonista: la bella Scarlett Johansson, ovvero una
donna occidentale anziché asiatica.
In un futuro non troppo lontano, in cui gli esseri umani
convivono con i cyborg e tutti sono connessi ed esposti al rischio di virus
informatici, il Maggiore Mira Killian Kusanagi (Scarlett Johansson), un ibrido
tra cyborg e umano unico nel suo genere – il suo cervello umano è stato
impiantato in un corpo robotico creato appositamente per lei – è alla guida di
un reparto speciale delle forze di pubblica sicurezza, la sezione numero 9, gestita
dalla Hanka Robotics, che si occupa di antiterrorismo cibernetico. Quando il
Maggiore si trova a dover affrontare un pericolosissimo hacker pronto a tutto
pur di sabotare la Hanka Robotics, emerge una terribile verità sul suo passato
che la porterà a cercare di scoprire ad ogni costo il mistero legato alla sua stessa
esistenza.
Il punto centrale di Ghost
in the Shell è proprio la dicotomia tra il corpo, un involucro che può
anche essere meccanico, e l’anima, che custodisce i ricordi e la memoria di chi
sei realmente. Argomento ben sviluppato nella pellicola che dunque non tradisce
il materiale di partenza, anche se lo semplifica notevolmente per renderlo
facilmente fruibile da parte del grande pubblico.
La scelta della Johansson, come dicevamo, si è
rivelata convincente. L’attrice, col suo fascino esotico e la sua sensualità,
ma anche forte della sua esperienza in ruoli action, si mostra credibile nel ruolo e decisamente in
parte. Nel cast segnaliamo anche Pilou
Asbæk, Michael Pitt, il premio Oscar Juliette Binoche e il grande regista
giapponese Takeshi Kitano, che dà un valore aggiunto al film con la sua
partecipazione, seppur breve. Sua la battuta cult della pellicola: “mai mandare un coniglio ad uccidere una
volpe”.
Il pregio maggiore
di Ghost in the Shell è costituito indubbiamente
dall’aspetto visivo, grazie ad una strabiliante ricostruzione scenografica
futuristica, in cui lo spettatore sembra immergersi completamente. Esteticamente
impeccabile, la pellicola vanta anche numerose (ma non eccessive) scene d’azione
ben coreografate e un ottimo 3D. Anche la colonna sonora, particolarmente
dinamica, si rivela perfetta per un action fantascientifico.
Ghost in the Shell, nelle nostre sale dal 30 marzo, è una buona
rivisitazione dell’immaginario cyberpunk che mantiene il fascino del materiale
originario, adattandolo al pubblico occidentale. La trama è semplice ma
avvincente, c’è spazio per l’azione ma anche per riflettere sul tema della
connessione (e dei rischi che comporta) e sul significato dell’anima.
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