Tratto dal primo romanzo di Guy de Maupassant, Una Vita – Une Vie racconta l’esistenza
di Jeanne (Judith Chemla), una giovane aristocratica appena uscita da un
collegio religioso della Normandia nel 1819, che possiede un’indole infantile e
una visione del mondo pura e innocente. Jeanne sposa l’affascinante Visconte
locale, Julien de Lamare (Swann Arlaud) ma l’uomo si rivela il più infedele dei
mariti condannando Jeanne all’infelicità, lontana dalle aspettative maturate
durante l’adolescenza. L’unica consolazione per la donna è il figlio Paul che,
però, crescendo, si rivelerà dissoluto come il padre e più interessato al
denaro che agli affetti, dando a Jeanne l'ennesima delusione in una vita
funestata dal dolore. Nel cast anche Jean-Pierre Darroussin e Yolande Moreau (i
genitori di Jeanne).
Per il regista Stéphane Brizé (La legge del mercato, che valse il premio come miglior attore a
Vincent Lindon al Festival di Cannes 2016) “per
essere fedeli a un romanzo bisogna tradirlo: la struttura narrativa di un film è
diversa da quella di un romanzo”. Sono state quindi necessarie alcune
modifiche a livello narrativo ma il cambiamento principale riguarda proprio la struttura
drammaturgica con l’applicazione del punto di vista di un solo personaggio,
Jeanne. La storia scorre dunque non in maniera lineare ma i circa trent’anni del racconto vengono narrati attraverso vari
flashback seguendo sempre le emozioni di Jeanne.
Brizé ci confessa in sede di conferenza stampa che
questa intuizione gli è venuta dopo aver girato La legge del mercato con cui Una Vita
ha una forte connessione: “entrambi i
personaggi, malgrado situazioni sociali ed epoche storiche diverse vivono
ciascuno il momento della fine dell'illusione. Noi oggi stiamo vivendo in un
momento storico che è la definitiva fine dell’illusione”.
La straordinaria Judith Chemla è dunque sempre in
scena, senza scampo, e regala un’intensa interpretazione di Jeanne: “una donna che non ha voluto elaborare il
lutto della perdita dell’infanzia, non ha saputo affrontare la vita mantenendo
una sorta di idealismo, e quindi ha vissuto in maniera drammatica. Mi ha
commosso molto, a livello personale, che la tragedia nasce nei luoghi della
bellezza. Il desiderio di fare questo film è nato dalla voglia di arrivare alla
frase finale del film e del romanzo senza tradirne i valori: la vita non è mai bella
o brutta come la si immagina”.
La protagonista sembra quasi in trappola e la forte
sensazione claustrofobica che vive si riflette sullo spettatore, acuita dalla
scelta del formato 1.33, ovvero un’inquadratura quasi quadrata, “che rende il senso di costrizione che vive
la protagonista e crea una cornice di contenimento per Jeanne, come un box, dal
quale è impossibile fuggire. Un modo per suggerire alcune cose che non possono
essere dette e per orientare lo sguardo, rendendo il senso di reclusione in cui
si trova”. Anche l’uso della camera a mano per le riprese ha una sua funzione
che è quella di “esprimere i battiti
della vita interiore di Jeanne”.
La colonna sonora (ad opera di Olivier Baumont),
composta principalmente dal pianoforte e da tutti i suoni della natura, non è
stereofonica "proprio per dare l’impressione che il suono venga dal punto
esatto in cui lo percepisce Jeanne". Splendidi i paesaggi (grazie alla
fotografia di Antoine Héberlé), meravigliosa la natura ritratta nel corso di
ogni stagione lungo gli anni della vita di Jeanne, eppure questa bellezza stride con la sofferenza interiore della
protagonista e con l’atmosfera cupa e gotica che caratterizza la pellicola, a
tratti affine ad Emily Bronte.
Il regista francese sottolinea che “l’opera di Maupassant è atemporale e universale. I suoi personaggi non
sono rappresentativi dei loro tempi. Descrivendoceli nel privato sono
scollegati dal mondo in cui vivono ma diventano attuali in tutte le epoche. Non
infatti è un film sulla situazione femminile del diciannovesimo secolo ma parla
del suo sentire, del suo aspetto intimistico”.
Una
Vita – Une Vie, vincitore del Premio Fipresci alla 73^
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dove è stato
presentato in concorso, racconta dunque
il dolore e le sofferenze di una donna nel corso della sua intera esistenza,
una vita caratterizzata da un processo continuo di disillusione. Si tratta di
un film realizzato in maniera impeccabile, che trasmette profondamente tutte le
emozioni vissute dalla protagonista, ma
la pesantezza del dramma e la lentezza del ritmo con cui è narrato, non lo rendono
adatto a tutti.
Nelle nostre sale dal 1° giugno con Academy Two:
solo 20 copie ma tutte in lingua originale con sottotitoli.
Stéphane Brizé (Copyright foto © Silvia Sottile)
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