Se chiedi a Norman Oppenheimer quale sia il suo
mestiere, la risposta sarà “se le serve
qualcosa io gliela trovo!”. Con una delle migliori interpretazioni di
sempre, Richard Gere è Norman, un faccendiere ebreo di New York, alla disperata
ricerca di attenzioni e amicizie che possano cambiargli la vita. La sua è una
corsa continua a soddisfare i bisogni degli altri nella speranza di trovare un
giorno il rispetto e il riconoscimento da sempre desiderati. Quando in Israele viene
eletto Primo Ministro un uomo a cui anni prima Norman aveva fatto un
favore, quel giorno che tanto aveva desiderato sembra finalmente arrivato. Ma
sarà davvero come lo immaginava?
L’incredibile vita di Norman di Joseph Cedar, al
cinema dal 28 settembre con Lucky Red, è una commedia intelligente e profonda
sull’importanza delle relazioni e sul bisogno di contare col quale prima
o poi tutti nella vita facciamo i conti. Nel cast anche Lior Ashkenazi, Michael Sheen, Steve Buscemi, Charlotte Gainsbourg e Dan Stevens.
Abbiamo avuto il piacere di incontrare a Roma il
protagonista assoluto della pellicola, Richard Gere. Ecco cosa ci ha raccontato
in conferenza stampa l’attore statunitense, pur provato dal jet lag:
Come vede il personaggio di Norman dall'esterno? Che limite
dà all'amicizia? Un rapporto dare/avere?
“Le persone
dopo aver visto questo film mi chiedono sempre: ‘Perché Norman è così fastidioso? Perché non se ne va?’. Credo che
oggi il mondo sia basato su trattative e compromessi. Qualcosa da ottenere in
cambio o cosa posso fare per ottenere qualcosa. Nelle piccole comunità la
visione era più semplice. Oggi non è più così. Anche il Presidente degli Stati
Uniti non è spinto da alcun senso morale ma da compromessi. L’aspetto positivo è
che ci fa da specchio. Lui, Norman,
ha entrambe le cose. È il re del compromesso ma vorrebbe anche rendere davvero
felici le persone. È generoso e gentile.
Nel film in
realtà c'è solo una scena e mezza faccia a faccia con Norman e il Primo
Ministro, la scena della scarpa, che è un simbolo importante. Ho iniziato a
improvvisare. Ho suggerito di fargli indossare la scarpa come Cenerentola. Si tratta
di un momento importante perché, come in una favola, ha accettato la relazione
di amicizia, quasi come un innamorarsi. Poi c’è l’incertezza di Norman quando è
in fila per stringergli la mano. E lì l’amicizia viene rivitalizzata con nuova
linfa. Ma poi c’è
il lancio del telefono: l’amicizia che deve cedere il passo a un compromesso più
importante cioè la pace in Medio Oriente”.
“È stato
facile perché Norman sono io. Abbiamo trascorso un'intera giornata a fare
prove. Alla fine decido io come interpretare il personaggio, è il mio lavoro. Però
faccio giocare per un giorno il regista e il costumista ma poi decido io. Il regista
mi voleva modificare i lineamenti per non essere riconoscibile o simile ad
altri miei personaggi, ho pensato che sarebbero state perfette delle orecchie a
sventola, così abbiamo provato queste protesi di plastica che andavano bene.
Norman è un
personaggio tipico di New York, io ci ho vissuto ed è pieno di questi
personaggi. Lui è emerso nella mia memoria con facilità. Ho dovuto rimuovere
gli ostacoli e lasciare che emergesse la sua personalità in libertà”.
“Chi sei? Cosa ti serve? Posso presentartelo?” sono
queste le frasi che Norman ripete sempre. Lei è mai stato vittima di un Norman?
“In ogni
cultura e in ogni settore abbiamo un Norman. Credo che tutti quanti noi
conosciamo un Norman in ogni ambiente: c'è nel mondo dell’economia, del
giornalismo, ecc... Ci sono quelli fighi che contano e quelli intorno che
provano ad entrare cercando una porta che non sia chiusa.
Norman è un
personaggio universale, mente, un imbroglione, però di fondo è una persona buona
e di buon cuore, generosa. Lui ci crede veramente, vorrebbe davvero dare quello
che promette. Questo lo salva. Quando esplori un ruolo scopri che le persone
hanno tutte gli stessi scopi. Non solo i soldi ma i soldi come metro di misura
di chi vince. Soldi come giudizio”.
Copyright foto © Silvia Sottile
La sua interpretazione è stata molto lodata, addirittura c’è chi parla di Oscar. Cosa ne pensa?
“Io scelgo i
miei ruoli non pensando al giudizio dell’Academy. Certo, l’Oscar mi potrebbe
essere utile perché mi renderebbe più facile realizzare film indipendenti e in
numero maggiore”.
Nel film si cita la metafora della ruota che gira, un
momento sei su e un altro sei giù. Come vede questo movimento?
“Quando hai
tantissimi soldi e puoi bere dell'ottimo vino diventa difficile adattarsi e
bere vino di pessima qualità. Questa altalena vale per tutti e per qualsiasi
cosa anche all'interno di una stessa giornata. Questo continuo movimento,
questo girare di ruota… anche ad ogni respiro tutto cambia e si muove. Abbiamo
difficoltà nella stasi, quando vediamo l'apparenza e non il vero. Se invece
accettiamo il girare c'è la felicità”.
Lei ha avuto uno strano percorso come attore, viste le
difficoltà a Hollywood dovute anche alle sue scelte politiche e adesso si
avvicina ai giovani autori…
“La mia
sensazione è che continuo a fare gli stessi film dell'inizio della mia
carriera, come I giorni del cielo, ad
esempio. Di fondo i film che ho sempre fatto sono simili, film difficili con
registi giovani ma di esperienza che erano realizzati dagli Studios. La
differenza è che oggi gli Studios non li fanno più e sono quindi film
indipendenti. Certo, io ho un'età diversa e di conseguenza interpreto personaggi
diversi ma il tipo di film è lo stesso. Solo che abbiamo budget bassi e i tempi
sono molto ristretti. Ad esempio abbiamo girato Norman in soli trenta giorni!”.
Copyright foto © Silvia Sottile
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