Ci sono frammenti di
città felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascosti nelle
città infelici.
Italo Calvino, Le città
invisibili
E’ da una vita che
faccio questa vita
Senza sapere se domani
andrà
Anche se è vero che
non è finita
Sono una farfalla che
non sa volare…
(Da una canzone del
film)
Roma, 17 ottobre. Sulla scia
di uno dei filoni cinematografici più rappresentativi del cinema italiano degli
ultimi anni, la periferia torna ad essere al centro del dibattito con Malarazza
(Una storia di periferia), opera seconda del regista e produttore Giovanni
Virgilio (stimato per La bugia bianca, 2014, e per i suoi
cortometraggi), al cinema dal 9 novembre distribuito da Mariposa
Cinematografica e prodotto da Movie Side e Xenon Produzioni
Cinematografiche in collaborazione con Studi Cinematografici Siciliani.
Il film racconta la storia di una giovane madre
(interpretata da Stella Egitto, talento emergente) e suo figlio Antonino
(Antonino Frasca Spada) che, assieme al fratello della donna (Paolo
Briguglia nei panni del transessuale Franco), sono vittime di un sistema di
potere malavitoso rappresentato dal boss in declino Tommasino Malarazza (David
Coco) e Pietro (Cosimo Coltraro), detto U Porcu. Per queste
tragiche esistenze non sembra esserci speranza per un riscatto sociale.
Ambientato a Catania, nei disagiati sobborghi (Librino)
e nei quartieri degradati del centro (San Berillo), Malarazza
è un film che ci porta dritti nel mondo della periferia tout court, non
tanto (o non solo) in quella siciliana. Rosaria e suo figlio, infatti,
divengono metafore di tutti quelle vite che abitano i quartieri periferici più
degradati e mortificati, completamente dimenticati dal nostro Paese. La
periferia come simbolo di sogni di gioventù traditi e trappole dalle quali,
troppo spesso, diventa impossibile liberarsi. E Librino, il quartiere a sud
ovest di Catania o San Berillo, quartiere della città vecchia, non fanno
eccezione.
Malarazza è il
classico esempio di un cinema d’autore che non vuole essere solo spettacolo, ma
offrire spunti di riflessione quanto mai necessari su uno dei tanti luoghi al
margine, il cui sogno di rinnovamento culturale, la cosiddetta “new town”
è stato completamente infranto per mere ragioni politico-economiche. Ciò che
resta di quella tanto agognata voglia di rinascita, non è altro che un agglomerato
di casermoni in cui la disoccupazione giovanile (specie quella femminile)
raggiunge percentuali senza pari, dove la coesione sociale sta svanendo in
fretta e ogni strada può essere un confine tra ultimi e penultimi. Cosa sapremo
in più e meglio dalla Commissione parlamentare che da un anno indaga sulle
periferie e a dicembre presenterà la sua relazione finale?
In questo ritratto di un’umanità disperata, la colonna
sonora gioca un ruolo fondamentale. Il mix di generi (si va dal rap, alla
bossanova, per giungere fino al neomelodico, la musica più ascoltata nelle
periferie di Catania) composto da Giuliano Fondacaro, infatti, detta i
tempi e il ritmo all’incedere narrativo, amalgamandosi anche con la voce della
popolarissima Arisa che – dopo essere stata pluripremiata al Festival
di Sanremo ed aver presentato numerosi successi internazionali – per la
prima volta canta in portoghese con il brano O pensamento de você.
“Il film” – spiega il regista – “ci fa
riflettere su quanto le periferie siano parte integrante delle città e che lo
stato di degrado in cui sono lasciate non fa altro che aumentare ingiustizie e
microcriminalità. Malarazza è una denuncia delle condizioni delle
periferie urbane al fine di riflettere sulla crisi della legalità nelle aree
più marginali dei territori, anche se spesso localizzate nei quartieri più
centrali. Territori che domandano bellezza, giustizia e sicurezza per garantire
un futuro e una speranza ai cittadini che vogliono affrancarsi dalla
criminalità e dall’esclusione che logorano le loro vite. Sulla base della mia
diretta esperienza ritengo che le amministrazioni locali facciano molto per
ricucire gli strappi fra le periferie e il resto della città, ma purtroppo
molte altre istituzioni restano a guardare. Come scriveva Italo Calvino,
anche le più drammatiche e le più infelici tra le città hanno sempre qualcosa
di buono. Quel qualcosa, però, dobbiamo scoprirlo e alimentarlo. Solo così
avremo città migliori”.
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