Presentato in concorso al
Festival di Cannes 2017, Il mio Godard
(Le Redoutable) restituisce un
ritratto affettuoso e ironico di una delle figure più importanti del cinema
francese e mondiale, quella di Jean-Luc Godard, interpretato da Louis Garrel. Attraverso
lo sguardo dell'allora giovanissima moglie Anne Wiazemsky (Stacy Martin), la
pellicola ripercorre il Sessantotto, il maoismo, le proteste contro la guerra
in Vietnam, ma soprattutto la storia d'amore appassionata, intensa e
complicata, romantica e anticonformista, tra il cineasta francese e la bella
Anne.
Film inaspettatamente ironico e avvincente, diretto
magistralmente dal premio Oscar Michel Hazanavicius (The Artist), Il mio Godard
si basa sulla biografia Un an après di Anne Wiazemsky e si
concentra principalmente sul Maggio ’68, periodo che trasforma radicalmente
Godard da cineasta star ad artista maoista fuori dal sistema, tanto incompreso
quanto incomprensibile.
Ottime e credibili le interpretazioni di Louis Garrel
e Stacy Martin, a cui si affiancano Berenice Bejo (Michèle Rosier), Micha
Lescot e le brevi apparizioni di Guido Caprino (nel ruolo di Bernardo
Bertolucci) e Matteo Martari (Marco Margine).
Il
mio Godard è
un film che rende vivo Godard, senza mostrare soggezione per questo mito con
cui si confronta, utilizzando anche i toni ironici, tipici della commedia.
Abbiamo avuto il piacere di incontrare in conferenza
stampa il regista Michel Hazanavicius ed il protagonista Louis Garrel, a Roma
proprio per presentare la pellicola, nelle nostre sale dal 31 ottobre con
Cinema di Valerio De Paolis.
“Come mai la
scelta di questo titolo, Le Redoutable?”
H.: “Non sono
mai stato bravo nella scelta dei titoli. Negli Stati Uniti uscirà col titolo Godard
mon amour, quindi più simile alla scelta italiana, Il mio Godard. Evidentemente
il titolo francese non funziona bene”.
“Ha avuto
difficoltà nel costruire il personaggio di Godard?”
H.: “Quello
che si vede sullo schermo è il risultato di vari punti di vista. Alla base c'è
il libro dell’ex moglie. Lui è un
personaggio molto sfaccettato e paradossale che è tante cose contemporaneamente.
Ha lottato per le cose in cui ha creduto. In lui convivono il mito e l'essere
umano. È libero, complesso e paradossale, ha una libertà espressiva eroica”.
G.: “Io
interpreto un Godard che non è più lui, è un personaggio immaginario”.
“Un film sul ’68
fatto da un regista e un attore che non li hanno vissuti…”
H.: “Infatti
non è un film nostalgico… Ho immaginato due mesi nella vita della Francia che
ha un momento di crisi. Godard è una persona che non sa amare gli altri, ma
soprattutto non sa amare se stesso”.
G.: “Io ho già
fatto due film sul ’68, uno è The Dreamers di Bertolucci”.
Louis Garrel
Copyright foto © Silvia Sottile
“Che rapporto ha con Godard?”
H.: “Amo il Godard
del primo periodo. Erano film con budget non enormi ma mi piace molto come li
caratterizzava con quell’originalità che dà l'autore. Quelli del gruppo Dziga
Vertov sono lontani da me. Ho fatto attenzione a non giudicare nel film le
scelte di Godard. La mia volontà è stata illustrare le scelte che fa: il
ritratto di una coppia e di un uomo. Sono stato attento a non dare un giudizio.
Non ho trattato la materia troppo seriamente per non per non spingere la gente
ad alzarsi. Gioco coinvolgendo lo spettatore. E’ necessario avere una cura
estrema anche nelle immagini per creare una sofisticazione, anche per trattare
Godard, altrimenti è difficile tracciare ritratti di persone ed epoche. Da
parte mia non c'era la volontà di mostrare il percorso di Godard come uno che
ha sacrificato la sua arte ma volevo mostrare la frattura che nel ‘68 avviene
nella sua carriera e decide di lasciare un cinema non industriale ma
tradizionale. Quel momento di radicalizzazione coincide anche con una
depressione personale in quel periodo. Non trovo sia stato un sacrificio ma una
scelta coraggiosa. Anche dell’illusione maoista si può parlare con leggerezza
non perché non sia valida ma solo perché trovo sia l’unico modo per raccontarla”.
“Come fa a
fare dei primi piani così belli?”
H.: “Quando si
filmano attori come Louis Garrel, Berenice Bejo, Stacy Martin, è facile fare un
primo piano. A me piace fare i campi lunghi per poi dare forza al primo piano
quando ti avvicini. Merito degli attori e del direttore della fotografia. Un gioco di
distanza e avvicinamento”.
Michel Hazanavicius
Copyright foto © Silvia Sottile
Copyright foto © Silvia Sottile
“A suo
avviso, come sono trattati i personaggi italiani, come ad esempio Marco Ferreri
e Bernando Bertolucci?”
G.: “Questo
film non è realista. Non conosco Ferreri, conosco Bertolucci. Sono trattati con
tratto comico. Non è un documentario, giochiamo attraverso la distanza
dell'umorismo. Il ‘68 è preso sul serio ma quando l'ideologia era così legata
al modo di lavorare è la storia di un'epoca che non esiste più oggi, quindi il
modo di raccontarlo è leggero, un gioco. Oggi quando ascolto Godard ho molta
ammirazione ma devo salvarmi dall’ammirazione che provo per lui perché dice ad
esempio che Truffaut è merda. Lo capisco ma mi mette in contradizione con me
stesso perché a me Truffaut piace . Questo gioco di contraddizioni nei film e
sulle opinioni mi sembra interessante, anche creare dispute. Ha bisogno di film
di intrattenimento ma anche impegnati. La mia generazione non fa più politica
con i film. È finita. C'è una morale etica da rispettare ma quello in tutti i gesti
della vita”.
H.: “Tutto è
politica. Anche la commedia più stupida è una dichiarazione politica. È il
cinema in quanto tale che mi dà forza. All'epoca non erano i film che facevano
spostare la folla. Cosa mi fa spostare? Il cinema in sé, il linguaggio cinematografico,
la potenza del cinema . Allora il film era qualcosa di prezioso, non ne
uscivano molti, si doveva andare al cinema. Oggi puoi accedere anche con lo Smartphone
e questo ha diminuito il valore. La mia preoccupazione in ogni istante fin
dall'inizio è stato trovare un equilibrio. Volevo fare film gioioso ma non una
caricatura. Una via di mezzo tra critica ed ironia, tragedia e commedia, personaggio positivo e negativo. Scola, Risi,
Monicelli e Wilder sono stati i miei esempi. Film che mostrano l'essere umano
nella sua complessità e contraddizione. Un amico è una persona che ti conosce
abbastanza bene e ti ama comunque. E la mia preoccupazione era amarlo comunque”.
G.: “Michel ama
Godard ma non è il suo idolo. Per lui Scola è come per me Godard. Io ho messo
empatia nella mia interpretazione. Come attore ho fatto film di genere
autobiografico con cose nei film che mi sono successe realmente nella vita. Per
la prima volta metto una maschera in questo film. La mia generazione gioca al
teatro con questi personaggi. Mi piace essere nascosto dietro qualcuno. Non è
un film realista ma giocoso. Godard mi piace soprattutto per il suo coraggio. Michel
fa film non solo per cinefili ma anche per il grande pubblico, con tutte le
contraddizioni che questo comporta”.
Louis Garrel
Copyright foto © Silvia Sottile
Copyright foto © Silvia Sottile
“Come vedete
il ‘68? Si può leggere con ironia oggi? Era un’epoca di scontri ma oggi come la
vedete voi che siete due post sessantottini?”
H.: “Il maggio
‘68 nel mio film non è trattato in modo comico ma al primo livello vuole
mostrare la gioia, la vivacità, l’umorismo e l’entusiasmo giovanile che hanno
caratterizzato quel momento. E poi lo scarto di Godard. Non si possono
contrapporre le proteste di allora con quelle di oggi. Oggi ci sono i social
network che hanno avuto una grossa parte anche nelle proteste dello scorso anno
in Francia. Ora c'è una radicalizzazione politica. Allora la politica era
grigia e volevano spodestare la destra di de Gaulle che deteneva il potere da
25 anni ma sempre nella democrazia e con la repubblica e poi volevano sostituire
i vecchi con i giovani, ora invece la radicalizzazione porta problemi e grandi
difficoltà a mantenere lo spirito democratico rivoluzionario”.
G.: “La grande
differenza tra il ‘68 e oggi è che non c'erano cinque milioni di disoccupati.
Oggi è più difficile fermare la situazione. Il Mondo è più preoccupato. Ma è
anche difficile trovare un nuovo modo di comunicare”.
H.: “In
Francia i rivoluzionari sono assimilati ad uno spirito triste, nel ‘68 lo
spirito era gioioso per cambiare le cose. Adesso i rivoluzionari danno un'impressione
deprimente, anche perché poi in realtà non
è così da buttare via il paese!”
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