Si può ridere dell’integralismo religioso? Sì,
secondo la poliedrica regista francese di origini iraniane Sou
Abadi.
Armand (Félix Moati) e Leila (Camélia Jordana) si
amano e stanno pianificando di volare insieme a New York, ma pochi giorni prima
della partenza, Mahmoud (William Lebghil), fratello di Leila, fa il suo ritorno
da un lungo soggiorno in Yemen, un’esperienza che lo ha cambiato… radicalmente.
Ai suoi occhi, ora, lo stile di vita della sorella è troppo moderno. L’unica
soluzione è confinarla in casa e impedirle ogni contatto con il suo ragazzo. Ma
Armand non ci sta e pur di liberare l’amata escogita un piano folle: indossare
un burqa e spacciarsi per donna. Il suo nome d’arte? Shéhérazade. Quello che
Armand non si aspetta è che la sua recita possa essere sin troppo convincente,
al punto da attirargli le attenzioni amorose dello stesso Mahmoud…
Due
sotto il burqa è una classica commedia degli equivoci,
divertente e audace, in cui il travestimento e lo scambio di persona non sono
solo fonte inesauribile di gag esilaranti, ma anche un modo di affrontare con
leggerezza temi complessi, come quello dell’integralismo. Una commedia spassosa,
intelligente e ironica, che, grazie a una scrittura pungente e mai
offensiva e a un cast di giovani attori straordinari, trasmette con la forza
del sorriso un messaggio universale di libertà e tolleranza, capace di
commuovere e colpire al cuore.
Nelle nostre sale dal 6 dicembre con I Wonder
Pictures.
Abbiamo avuto il piacere di incontrare la regista Sou
Abadi in conferenza stampa. Ecco cosa ci ha raccontato:
Nella
pellicola vediamo Mahmoud ascoltare musica. Ma gli integralisti islamici
ascoltano musica?
“Sì, gli
estremisti ascoltano musica e anche i jihadisti ascoltano musica militante. Noi
non avevamo però i diritti della musica militante, avremmo dovuto chiederli ad
Hamas e non mi sentivo di farlo. Perciò l’ho riscritta io. Ovviamente attenendomi
ai toni, con parole mie, e ha avuto successo. Addirittura la musica originale
era ancora più danzante”.
Lei ha origini iraniane. Cosa c’è del suo passato in
questo film?
“Queste cose sono dentro di me. Si tratta di
argomenti che mi abitavano. Da ragazzina ho vissuto la presa del potere da
parte degli estremisti islamici in Iran con tutte le assurdità che si sono
portati dietro, tipo le donne che dovevano coprirsi e non c'era nulla da ridere…
ma io non volevo fare un film tragico, volevo che lo spettatore ridesse in
maniera intelligente e non volevo descrivere l'orrore. Io in qualche modo sono
fuggita da tutto quello accaduto allora e ora, per assurdo, mi ritrovo
trent'anni dopo in Francia a ritrovare le stesse problematiche, come Ulisse.
Qualcuno doveva parlarne! In Francia nessuno osa. Ho deciso di farlo io. La Radicalizzazione
è stata affrontata finora in modo tragico, io ho deciso di farlo con i toni
della commedia”.
Lei ha lavorato per anni su un progetto precedente che
non è andato a buon fine… questo film è una sorta di riscatto?
“Ho trascorso cinque anni a lavorare su un
progetto di una spia israeliana che poi non è andato in porto. Sono stata due
mesi in depressione e poi mi sono lanciata in questo film e ho deciso di non
censurarmi più né nei film né nella
vita. Ho seguito il mio stile. Ho detto tutto quello che volevo ma in modo
gentile ed educato”.
Come ha reagito la comunità musulmana a questo film?
“La reazione della comunità musulmana è stata
molto positiva. Abbiamo fatto tante anteprime in Francia e molti musulmani
venivano ad abbracciarmi. Addirittura prima di andare a mangiare (era durante
il ramadan) mi ringraziavano per aver saputo raccontare i musulmani in maniera
gentile e senza il coltello in mano. Non è stato questo il caso della comunità
integralista ed estremista che prima dell'uscita del film mi ha criticata e insultata ma dopo l'uscita non avevano appigli concreti per protestare”.
Lei racconta tutto l'Islam in un film. Con ironia ma
senza offendere nessuno: un po’ come noi scherziamo con i Santi. Ci spiega
anche la differenza tra sunniti e sciiti che noi occidentali non conosciamo. Cosa
pensa faranno adesso gli estremisti?
“Non so cosa faranno gli estremisti. Volevo
che questo film fosse distribuito nei paesi arabi, cosa che purtroppo non è
successa. Posso capire che non l’abbia preso l’Iran ma sono molto delusa che
non l'abbiano preso la Tunisia, la Turchia e nessun festival arabo. Mi auguro
che ci sia uno studio storico – antropologico sull'Islam come da noi è stato
fatto con il cattolicesimo”.
Qual è il problema dell’Islam fondamentalista?
“Non mi sento in grado di rispondere a questa
domanda, al tempo stesso semplice e troppo complessa. Dico solo che ognuno
dovrebbe avere buon senso. Sicuramente credere in qualcosa può aiutare nella
vita quotidiana, può essere più facile piuttosto che per chi è atea come me”.
Per il personaggio della madre, si è ispirata a sua
madre?
“Il personaggio di Mitra (interpretato da
Anne Alvaro), la madre di Armand, racchiude
mia madre, mio padre e me, tutti e tre insieme!”
Secondo lei una commedia può aiutare a placare gli
animi?
“Il mio intento era fare un tentativo di
rimettere tutti insieme. Con educazione, rido un po’ di tante diverse
sfaccettature, degli integralisti, dei comunisti, di tante altre categorie e
anche di me stessa. E ognuno fa un passo verso l'altro”.
Da adesso abbandonerà definitivamente i documentari e
si dedicherà solo ai film di finzione?
“Anche se nella vita non si può essere
definitivi, in questo momento al documentario non ci penso più. Perché i
protagonisti dei documentari non ti lasciano nessuna libertà, devo essere
fedele. Nei film di fiction invece posso essere libera. Aver fatto documentari
comunque mi ha aiutato molto a fare questo film e ho già fatto due anni di
ricerche per il prossimo film: sarà una commedia con veri momenti di tragedia
perché sarà ambientata nell'Isis”.
Quali sono state le sue fonti di ispirazione?
“Billy Wilder per primo, ‘A qualcuno piace
caldo’. Poi tutti i film dove c'è un travestimento. Anche Tootsie, sì, ma il vero
ispiratore è proprio Billy Wilder, anche per il ritmo”.
Cosa può dirci sul finale del film e sul messaggio che
vuole dare?
“Probabilmente il finale non è realistico.
Quel personaggio si sarebbe potuto far saltare in aria con una cintura esplosiva,
ma io ho voluto essere positiva con questo personaggio che amavo. Basta
documentario! Questa è fiction e posso fare come voglio, anche un lieto fine
irrealistico…
Ho ricevuto due lettere dopo l'uscita del film. Lettere
di madri i cui figli si erano convertiti all’Isis ed erano partiti per l’Iraq,
ecc... E una di queste madri ha riso e ha pianto per la morte del figlio
kamikaze, scrivendomi: ‘vuol dire che mio figlio non ha conosciuto l’amore’. Queste
lettere mi hanno molto commossa”.
Nessun commento:
Posta un commento