Nel 1964, durante un breve viaggio a Parigi, lo
scrittore americano e appassionato d’arte James Lord (Armie Hammer) incontra il
suo amico Alberto Giacometti (Geoffrey
Rush), un pittore e scultore italo-svizzero di fama internazionale, che
gli chiede di posare per lui. Le sedute, gli assicura Giacometti, dureranno
solo qualche giorno. Lusingato e incuriosito, Lord accetta. Non è solo
l’inizio di un’amicizia insolita e toccante, ma anche – visto attraverso gli
occhi di Lord – di un viaggio illuminante nella bellezza, la frustrazione, la
profondità e, a volte, il vero e proprio caos del processo artistico.
Final Portrait – L’arte di essere amici, quinto film da regista di Stanley Tucci, è
l’affascinante ritratto di un genio, la storia di un’amicizia tra due uomini
profondamente diversi, eppure uniti da un atto creativo in costante evoluzione.
Il film, tratto dal libro di memorie di James Lord, racconta anche le difficoltà
del processo creativo – a tratti esaltante, a tratti esasperante e sconcertante
– chiedendosi se il talento di un grande artista sia un dono o una maledizione.
L’abilità del regista si nota soprattutto nel
riuscire a rendere dinamico, grazie all’utilizzo della camera a spalla, un film
che vede per la maggior parte del tempo i due uomini all’interno dello studio
parigino dell’artista, in modo da dare movimento a due figure statiche, anche
se non mancano brevi e interessanti escursioni al meraviglioso cimitero di Père-Lachaise
dove Lord e Giacometti hanno modo di chiacchierare sull’arte.
Ciò che emerge da Final Portrait è proprio un ritratto intimo di Giacometti, il suo
essere un artista fuori dagli schemi e soggetto a forti sbalzi d’umore, grazie
naturalmente alla superlativa interpretazione di Geoffrey Rush (premio Oscar per Shine,
in un ruolo per certi versi simile a questo) che riesce a esprimere in maniera
sublime le contrastanti emozioni del suo personaggio, dall’affabilità alla
depressione, fino agli accessi di rabbia nel pieno del suo processo creativo. Ottimo
anche il sempre più lanciato Armie Hammer, da poco apprezzato in Chiamami col tuo nome di Luca
Guadagnino. Nel cast segnaliamo la presenza di Clémence Poésy (saga di Harry Potter), Tony Shalhoub e Sylvie
Testud, rispettivamente nel ruolo dell'amante, del fratello e della moglie di Giacometti.
Splendide le musiche di Evan
Lurie che in passato ha collaborato anche con Roberto Benigni (Johnny
Stecchino, Il piccolo diavolo). Il
compositore statunitense è riuscito a trovare il giusto equilibrio, senza che nessun
elemento risulti sovrastante.
Abbiamo avuto il piacere
di incontrare Stanley Tucci in conferenza stampa. Ecco cosa ci ha raccontato:
Come mai ha deciso di fare un film su
Giacometti in questo momento? Come è riuscito a trattenersi dal fare una vera e
propria biografia? Che rapporto ha con l’arte?
“E’ un buon momento per l’arte di Giacometti, negli
anni scorsi ci sono state varie mostre alla National Portrait Gallery e alla
Modern di Londra, il padiglione Svizzero della Biennale di Venezia è stato dedicato interamente a lui. A breve ci sarà un’altra
mostra a New York al Guggenheim. Il film
si inserisce in questo filone. Ho scelto di non fare un classico biopic ma di
concentrarmi nello specifico sulla realizzazione del ritratto di Lord e sugli
ultimi anni di vita dello scultore perché non credo nei classici biopic, spesso
diventano un noioso elenco di fatti, preferisco invece concentrarmi su un periodo
particolare e, attraverso quello, scoprire l’essenza stessa della persona, in
modo più universale. Io vengo da una famiglia di artisti, mio padre ha
insegnato arte a scuola. Quando ero piccolo abbiamo vissuto in Italia, a Firenze,
e questo ha influito molto sulla mia formazione, ho scoperto il Rinascimento. Quando
respiri l’arte nell’ambiente familiare sviluppi un certo gusto estetico e
questo ti accompagna nella vita”.
Lei è anche un grande attore, ha mai
pensato di interpretare personalmente Giacometti? È stato difficile per
Geoffrey Rush entrare in un personaggio così pieno di nevrosi?
“Sì, inizialmente ci ho pensato ad interpretarlo ma
ho scartato subito l’ipotesi perché dirigere se stessi è molto faticoso, la tua
attenzione viene divisa ed il film, molto complesso, ne avrebbe risentito. Rush
ha avuto due anni per fare ricerche, documentarsi ed entrare nel personaggio, mentre
noi cercavamo finanziamenti in fase di pre-produzione. Era molto importante che
ci fosse una coincidenza tra la fisicità artistica e lo stato d'animo interiore.
Ha avuto difficoltà nel sentirsi a suo agio negli attacchi di rabbia di
Giacometti e nel padroneggiare il pennello. Risolto questo, è stato
straordinario!”.
Che idea si è fatto di Giacometti? E del
suo rapporto con i suoi modelli? Con tutte queste nevrosi…
“Credo che accenni di sadismo e masochismo siano
radicati nei rapporti di ogni artista. L'idea che mi sono fatto è quella del rapporto
di amicizia che si vede nel film. Ho parlato con tre suoi modelli ancora vivi e
tutti l’hanno descritto come molto affabile in una fase iniziale, poi taceva e chinava
la testa e iniziava il processo creativo, la fase successiva era quella
depressiva, con accessi di rabbia, specie se i modelli non erano molto giovani,
con loro un po’ si tratteneva. Credo che faccia parte di ogni artista la
nevrosi, quel senso di frustrazione e
insoddisfazione, in un movimento non verso la perfezione ma verso la creazione
di qualcosa di veritiero che si vuole mostrare. Ero molto affascinato dal suo
processo artistico. Ho anche accarezzato
l’idea di non mostrare mai il ritratto ma ho pensato che sarebbe stato troppo
pretenzioso da parte mia. Mi piaceva mostrare il processo di creazione, come un
artista si misura con la sua arte.
Giacometti ha vissuto la sua vita esattamente come
voleva viverla. Ha dedicato anima e cuore al suo lavoro, non certo alla moglie.
Aveva un’etica di devozione al lavoro a cui non corrispondeva un’etica morale nella vita. Per poter creare
viveva come un adulto/bambino, molto egoista. Aveva necessità di avere attorno
qualcuno che lo sostenesse, come la moglie giusta e il fratello che lo ha
sempre spalleggiato. Ma lui è stato sempre molto onesto, sincero e generoso. In
questo rapporto con la moglie, ognuno ha ottenuto qualcosa”.
Cosa la spinge a fare un film da
regista? Come attore passa da film indipendenti a blockbuster…
“Mi spinge il desiderio di raccontare una storia
esattamente nel modo in cui io voglio raccontarla. Dopo i prime tre film da
regista sono stato fermo otto anni perché non è facile finanziare una produzione
indipendente. Come attore ho recitato in film indipendenti e blockbuster perché
altrimenti non avrei i soldi per far mangiare i miei cinque figli e per pagare
il mutuo… devi farli entrambi! Però anche le grandi produzioni sono ottime
esperienze”.
Come mai oggi c’è questa riscoperta di Giacometti?
“Perché ha fatto opere senza tempo”.
Final Portrait è al cinema dall'8 febbraio con BIM Distribuzione.
Stanley Tucci
Copyright foto conferenza stampa © Silvia Sottile
Copyright foto conferenza stampa © Silvia Sottile
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