Delphine (Emmanuelle Seigner) è l'autrice di un
romanzo dedicato a sua madre che ha ottenuto uno straordinario successo. La
scrittrice riceve, però, delle misteriose lettere anonime che l'accusano
violentemente di avere messo in piazza storie che avrebbero dovuto rimanere
private. Turbata, Delphine non riesce a tornare a scrivere, finché non incontra
una sua appassionata lettrice, la bella scrittrice Elle (Eva Green), che si
dimostra l'unica capace di sostenerla e aiutarla in un momento così difficile.
Allo stesso tempo, però, la ragazza la spinge a scrivere un romanzo ancor più
intimo del precedente, diventando sempre più morbosa. Chi è in realtà Elle?
Roman Polanski è uno dei pochi cineasti che, nonostante tratti da sempre le stesse tematiche, è ancora capace, a suo modo, di stupirci. La decisione di trasporre il romanzo di genere di Delphine De Vigan, che più di un debito ha con Misery non deve morire di Stephen King, risulta, però, piuttosto curiosa.
Che questo thriller così comune, giocato sul tema
del doppio e sulla crisi dello scrittore, nasconda, quindi, un intento diverso?
Ebbene sì, Polanski è consapevole che ciò che ci sta
proponendo è un concentrato, nemmeno tanto verosimile, di stereotipi del genere
e, al contempo, dei temi prediletti della sua filmografia. Ciò che traspare da Quello che non so di lei è, però,
l'abilità, non esente da ironia, di maneggiare una materia da romanzetto,
trasformandola in un gioco di alta classe.
Due donne che inizialmente sembra si attraggano,
diventano, sempre più una lo specchio dell’altra, assumendo perfino sembianze
molto simili: in un continuo ribaltamento delle parti, Delphine ed Elle si
cannibalizzano in cerca di creazione, di affermazione, di vita.
Polanski si diverte a mescolare gli elementi più
classici del noir con quelli del racconto psicologico e del mélo; il suo cinema
(Repulsion, L'inquilino del terzo piano,
Luna di fiele, L'uomo nell'ombra, Venere in pelliccia) con Il servo, Che fine ha fatto Baby Jane?, Misery non deve morire.
Il risultato è un film che per trama sembra uguale a
tanti altri, ma che è così seducente, claustrofobico e rassicurantemente
"polanskiano" da incantarci.
Il merito va soprattutto alla bravura e alla
bellezza delle due protagoniste, Emmanuelle Seigner ed Eva Green, che inscenano
superbamente un intrigante e vampiresco gioco a due, in bilico fra realtà e
finzione.
Da non sottovalutare anche la presenza di Olivier
Assayas alla sceneggiatura, che segna l'opera in maniera significativa. Non è
difficile, infatti, vederci elementi comuni a Personal Shopper o a Sils
Maria, non solo nell'ambiguo confronto fra le due donne, ma anche nella
presenza massiccia di iPhone e computer che divengono elementi di ulteriore
smarrimento.
Forse il senso del film è che non possiamo più
contare su un concetto certo di realtà: oggi che qualsiasi cosa, fatto o
persona può essere facilmente manipolato, trasformandosi in qualcos'altro
rispetto a ciò che credevamo fosse, la formula "da una storia vera", come recita il ben più congruo titolo
originale, non ha più molto significato.
Dal 1° marzo al cinema.
Dal 1° marzo al cinema.
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