The
Happy Prince – L’ultimo ritratto di Oscar Wilde,
diretto e interpretato da Rupert Everett, è in sala dal 12 aprile (Qui la nostra recensione). In occasione della presentazione alla stampa romana, abbiamo incontrato il regista e attore britannico.
Ecco cosa ci ha raccontato:
Lei
attualmente sta girando la serie Il Nome
della Rosa, dove ha il ruolo dell’inquisitore. Oscar Wilde invece è un
personaggio molto diverso. Come è nato questo progetto? Lei lo ha voluto a
tutti i costi, lo ha interpretato a teatro ed ha anche fatto due film tratti
dalle sue opere…
“Interpretare questo
Oscar Wilde era un’opportunità da non perdere. Oscar Wilde ha scritto tante
cose fantastiche su Cristo. C’è qualcosa in comune, quindi, tra questi due
personaggi ma l’inquisitore di Umberto Eco è molto più cattivo! Io ho scritto
la sceneggiatura di questo film su Oscar Wilde 10 anni fa e ci sono voluti
dieci anni per trovare i finanziamenti per fare il film. Era difficilissimo
trovare i soldi, in questo momento non è facile… forse non ero più molto famoso
nel cinema!”
Qui il video - Parte 1
Cosa
pensa delle critiche (positive o negative) al suo film?
“Io credo che o ti piace un film o
non ti piace. Io ho messo veramente tutto in questo film e non posso fare di
più. Non voglio pensare alle critiche negative… sempre gli americani!”
Cosa
ci può dire a proposito delle difficoltà che incontra nel mondo del cinema chi
è omosessuale? E del suo rapporto con Oscar Wilde, forse anche un po’
autobiografico?
“Per
quanto mi riguarda personalmente, per la mia carriera, quando lavori in un
mondo come quello del cinema, che è un mondo che, anche se forse non lo è più oggi,
è stato aggressivamente eterosessuale, devi in un certo senso trattare e
negoziare se sei gay, e prima o poi finisci, o almeno finivi, con lo scontrarti
con un muro forte e pesante di mattoni. Forse la situazione oggi non è più così
ma io mi ricordo intorno agli anni ’80 e ’90 non era assolutamente facile. E Oscar
Wilde per me è stato una grandissima fonte di ispirazione. Io mi ricordo quando
ero giovane, più o meno intorno alla metà degli anni ’70 a Londra, che l’essere
omosessuali era legale soltanto dal 1968, quindi era stata legalizzata la
possibilità soltanto 5 anni prima. Quindi da questo punto di vista la
sensazione è un po’ quella di ripercorrere le orme di Oscar Wilde”.
Per
la scena sul mare che sembra un dipinto, ma anche per il film in generale, ha
avuto qualche fonte di ispirazione pittorica? E spunti teatrali?
“Sì,
naturalmente. Abbiamo utilizzato molti riferimenti pittorici e fotografici, in
particolare perché non abbiamo potuto girare a Parigi ma abbiamo girato in
Germania e in Belgio, quindi abbiamo dovuto coprire certe caratteristiche
tipicamente tedesche o belghe per conferire un’atmosfera parigina. Nel film ci
sono molti sipari che si aprono, del resto Oscar Wilde era un personaggio molto
teatrale”.
Secondo
lei è possibile che a Wilde abbiano fatto pagare non solo l’omosessualità ma
anche l’essere fuori dal sistema, l’essere irlandese? Forse può essersi
trattato di un fatto politico?
“Sì,
lui non era inglese e guardava agli inglesi come li guarda uno straniero, con
uno sguardo da esterno. Credo che ci sia la tendenza a dimenticare questa cosa, e lui era anche
estremamente snob. Per lui è stato fantastico incontrare un aristocratico ma è
stato anche pericoloso prendere in giro l’establishment inglese. Questo l’ha
pagato. Dal punto di vista politico, però, si è tirato addosso da solo lo
scandalo. Lui ha portato il Lord in tribunale, non il contrario. Se non
l'avesse fatto, probabilmente l'establishment l'avrebbe accettato, avrebbe
chiuso un occhio. Questo è successo perché, essendo arrivato all'apice del
successo, Wilde non aveva più consapevolezza di cosa fosse il mondo, di come
andassero le cose. Pensava che il mondo fosse fatto per lui, non ne aveva più
la percezione. La distruzione all’inizio se l’è autoinflitta. Poi però ci sono
andati giù pesante.
Come
avete lavorato sulla fotografia del film che rende così bene quel periodo
storico? A chi si è ispirato per la regia? Come mai ha scelto proprio gli ultimi anni?
“Per
quello che riguarda i movimenti di macchina io volevo che il film fosse una
specie di mix tra il cinema di Visconti e le riprese fatte dalle
telecamere a circuito chiuso. Nel senso che volevo che ci fosse un qualcosa di
estremamente costruito e progettato ma al contempo avere un po’ lo stile della
camera a spalla, quindi della ripresa effettuata in maniera più naturalistica. Lo
stile che mi piace moltissimo è quello dei film dei fratelli Dardenne che
utilizzano un trucchetto: fanno sì che il personaggio guardi nella macchina da
presa, quindi stabilisca un rapporto con la macchina da presa che poi però segue
il personaggio. È una cosa che io trovo fantastica perché la maggior parte
delle volte ti trovi a vedere il personaggio di schiena, cosa che trovo molto
bella e anche molto realistica. Quindi volevo esattamente questa combinazione.
Ho
scelto gli ultimi anni di Oscar Wilde perché trovo che quest’ultima parte della
sua vita sia una storia estremamente romantica, anche perché trovo molto interessante
e molto romantica l’ultima parte del XIX secolo. Amo la Belle Époque, mi piace
l’ultimo decennio del XIX secolo, trovo fantastico questo vagabondo della
letteratura insieme ad un altro, Verlaine, due grandi geni sottoposti a
ostracismo da parte della società, trasformati in relitti lungo i boulevard che
vanno a pietire qualcuno che gli offra qualcosa da bere”.
Quali
sono state le sue fonti? Che rapporto ha con Visconti, in particolare con Morte a Venezia?
“Ho
letto tutto di Wilde, le opere teatrali, i libri, le lettere. È stato molto
eccitante poter conoscere il quotidiano attraverso le lettere. Lui scriveva in
maniera molto dettagliata e attraverso
le sue descrizioni si capiva cosa facesse quotidianamente.
Il
personaggio di Tadzio di Morte a Venezia è stato molto presente nella mia mente,
ho pensato a lui nell’elaborare l’aspetto di “Bosie”. Morte a Venezia è tra
miei film preferiti. Adoro il cinema italiano e Visconti. Il mio viaggio
cinematografico inizia con Zeffirelli, che era assistente di Visconti. Amo Romeo
e Giulietta, amo il cinema italiano, l’attenzione ai costumi… anche i
truccatori del mio film sono italiani!”
Ha
mai preso in considerazione un altro attore per il ruolo di Oscar Wilde o ha
pensato subito a se stesso?
“Volevo
essere io il protagonista perché volevo lavorare nel cinema e ho pensato che il
modo migliore fosse proprio quello di scrivere un buon ruolo per me!”
Dal
film si evince una certa spiritualità di Wilde, quasi cristologica… che
rapporto aveva con la religione e con la figura di Cristo? E lei?
“Wilde
nella sua vita ha flirtato a lungo con la Chiesa Cattolica, lui aveva
un'immagine e un'idea di Cristo. Non si sa infatti perché non sia fuggito per
evitare la prigione. Avrebbe potuto farlo. Per me lui ha visto un'opportunità nella
prigione, l’opportunità di rinascere, come Cristo. La sua idea di Cristo, che
si evince leggendo il ‘De profundis’, è molto interessante. Io sono stato
educato nella Chiesa Cattolica per cui anche per me è importante”.
Tornando
al tema dell’omosessualità: abbiamo letto che solo nel 2017 il “crimine” di
Oscar Wilde fu “perdonato”, come vede oggi la situazione?
“Purtroppo
l’omofobia è molto preoccupante, anche in Italia e in Inghilterra. La storia di
quest’uomo distrutto perché omosessuale ancora oggi accade, non solo in paesi
come la Russia, la Cina, ma la cosa peggiore è che succede anche in Inghilterra
(dove c’è l’UKIP) e in Italia (con la Lega). Tutti questi atti di omofobia sono
molto preoccupanti: ragazzini che si suicidano o istituzioni che non sostengono
più il Gay Pride! È tutto molto preoccupante e bisogna fare molta attenzione”.
Ci
può parlare della figura di Robbie Ross, sicuramente la più importante nella
vita di Wilde?
“Robbie Ross è
una figura tragicamente romantica. Wilde credeva di amare ‘Bosie’ ma in realtà
amava Ross che rappresenta il vero amore, quello che dà attenzioni senza volere
nulla in cambio. Il rapporto con lui è importantissimo. Era un rapporto
d'amore. Infatti Ross è sepolto con lui ma Wilde era troppo pieno di sé per
capirlo. Eppure era proprio come il vero amore dovrebbe essere”.
Come
ha lavorato per descrivere l’omosessualità a quei tempi?
“La
cosa più importante era fornire un quadro accurato di com’era essere
omosessuale in quei tempi. C’era questo migrare, da parte degli omosessuali,
dal Nord Europa verso Napoli e poi in Africa, in Tunisia, per poter vivere liberamente com’erano. Ho potuto
utilizzare bravissimi attori napoletani. Sarebbe stato facile sovrapporre gli
omosessuali moderni a quelli del XIX secolo ma non era quello che volevo. Oltretutto
Napoli era in un momento immediatamente successivo all’unificazione d'Italia,
sembrava incredibile che fosse nello stesso stato di Venezia dove era andato
Byron. Ma Napoli dall’unificazione non si è più ripresa”.
Per
concludere, Oscar Wilde giocava un po’ coi sentimenti di Bosie e Ross…
“Sì,
a Oscar Wilde piace giocare con le persone, non riesce a non farlo. Lui è una
star e ha bisogno di attenzioni da parte di tutti . A Bosie, per irritarlo,
dice che Ross lo ama in un modo che lui non potrà mai capire e fa la stessa
cosa a parti invertite. È un aspetto pericoloso di Wilde ma anche divertente.
Non volevo trasformarlo in un’icona ma volevo renderlo umano. Così non è
monodimensionale”.
Copyright foto © Silvia Sottile
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