Loro
1 è
al cinema dal 24 aprile (qui la recensione); Loro 2 è arrivato nelle nostre sale il 10 maggio (qui la recensione), piazzandosi subito in testa al box office il primo giorno di
programmazione, per poi assestarsi in seconda posizione nel weekend, a ridosso dell’imbattibile
Avengers: Infinity War. Ma cosa ha
voluto esattamente mettere in scena il regista? Quali le sue intenzioni più
profonde? Come si sono immersi nei rispettivi ruoli i protagonisti? A queste e
ad altre domande hanno risposto direttamente Paolo Sorrentino, Toni Servillo ed
Elena Sofia Ricci nel corso della conferenza stampa di presentazione.
Iniziamo con le dichiarazioni del regista:
Paolo Sorrentino: “Questo non è un film politico. Da parte mia sarebbe stato stupido fare
un film schierato, ideologico, che mettesse in scena il Berlusconismo. Sono state
questioni già ampiamente sviscerate, dibattute e assolutamente fuori tempo
massimo. Quello che mi sembrava non fosse stato detto, o meglio, forse era
stato detto anche questo, ma non era stato così puntualizzato, era la
dimensione dei sentimenti che stavano dietro l’uomo politico e che stavano
dietro certi personaggi che vengono raccontati nel film. Quindi il film non è
assolutamente schierato. Non è né un attacco né tantomeno una difesa. Il fatto
che ci sia la controparte – che nel film viene in qualche maniera interpretata
da Elena Sofia Ricci che fa Veronica e che forse incarna una serie di domande
che molti detrattori avrebbero voluto fargli – non significa che io sia d’accordo
con Veronica o che sia d’accordo con Silvio Berlusconi. Non è proprio questo il
senso del film che volevamo fare. Il senso era indagare la dimensione dei
sentimenti che stavano dietro ai personaggi.
Dietro
i sentimenti, ci sono, per me, le paure. Come la capretta ha paura dell’aria
condizionata, ci sono tante forme di paura rappresentate nel film, che
riguardano i giovani, che riguardano le persone di mezza età e altre che
riguardano ovviamente Berlusconi. Sarò ripetitivo, farò sempre film sulla
stessa cosa ma ovviamente la paura della vecchiaia riguarda Berlusconi, mentre la
paura della morte è una paura che aleggia in tutti, aleggia anche nei ragazzi di 20 anni che vengono messi
in scena nel film. E in questo sta secondo me la dimensione di attualità del
film, non nei fatti, perché i fatti sono storici, e da questo punto di vista si
può considerare un film in costume. Quello che si spera possa essere attuale
sono i sentimenti delle persone che rimangono più o meno i medesimi nei secoli
e che poi si sviluppano in maniere diverse. In quel periodo storico si sono
sviluppati con un prorompente vitalismo e come tutte le forme di vitalità,
segue una inevitabile e ineluttabile delusione.
Il
mio sguardo sta nel tono che ho adoperato, il tono della tenerezza. Non avevo
nessuna voglia di puntare il dito contro nessuno, sarebbe stato anche
pretenzioso e presuntuoso. Io penso, a dispetto della cronaca, dell’attualità,
che è sempre più emotiva, irrazionale e nervosa, che un film e un libro possano
e debbano essere gli ultimi avamposti della comprensione di qualcosa. Comprensione
non soltanto nel senso di capire ma proprio di essere comprensivi, anche se
questo, su temi del genere, ti espone a giudizi non gradevoli. Però è un
rischio che penso vada corso. Credo che si debba essere comprensivi, nel senso
di comprendere il perché di certi atteggiamenti anche quando non ci piacciono,
anche quando sono moralmente discutibili. Io sono fermamente convinto di questo
e ho provato a fare questo.
Una
delle chiavi d’accesso possibili era proprio partire dalla storia d’amore tra
due persone. Poi il film prende altre direzioni, magari troppe, non lo so,
entra in altri ambiti, però il punto di partenza è esattamente una storia d’amore.
Mi sembrava il modo più efficace e inedito per raccontare le persone di cui si
è letto e visto tanto.
Non
è propriamente un film sugli italiani, ne esistono anche altri. Non volevo fare
questo, il film è più uno sguardo su un periodo che ha delle sue
caratteristiche, gli anni 2006/2010. Forse le caratteristiche di quegli anni
sono anche figlie degli anni ’90 però non mi addentrerei in un’analisi dei
decenni. In qualche maniera penso che quelle derive di comportamento possano
essere figlie di un decennio poco esplorato che sono gli anni ’90. Non è un
film sugli italiani, è un film, anche, su una parte degli italiani. Invece credo
che si esplorino dei sentimenti universali. La dimensione dei sentimenti, una
volta messa a fuoco, spero possa rimanere dentro. Ci sono delle caratteristiche
che accompagnano anche gli italiani: non c’è solo il lato dell’aberrazione e
delle libertà spregiudicate o addirittura depravate che si vedono nella prima
parte, c’è anche una dimensione di eroismo, come si evince dalla scena finale. È
un film che compie un timido tentativo di raccontare – attraverso dei
personaggi, alcuni inventati, di altri abbiamo letto le cronache negli anni
passati – anche noi.
Il
gioco del ‘chi è chi?’ sarà anche legittimo ma non ha molto senso, nella misura
in cui nel film ci sono dei personaggi reali con i loro nomi. Gli altri, se non
hanno dei nomi reali, è perché non sono quelli a cui si fa riferimento nella
stampa. Il personaggio di Fabrizio Bentivoglio non è, come ho letto, Bondi. Sì,
è vero, dice delle poesie ma penso che una persona su due al mondo scrive e
recita poesie, almeno segretamente. Così come il personaggio di Kasia non è
Sabina Began. Ci tengo a dirlo, perché non si scherza col fatto che persone
vengano chiamate in causa quando io non volevo chiamarle in causa. Se ho dato
dei nomi fittizi è perché volevo essere libero di inventare dei personaggi. Quando
invece sono stati dati dei nomi veri è perché aveva senso seguire le vicende
dei personaggi.
Se
è più difficile fare un film sul Papa o su Berlusconi? Forse su Berlusconi,
anche se questo film non è solo ed esclusivamente su Berlusconi. È sicuramente
un film su Berlusconi ma quando si ha a che fare con i personaggi reali, tutto
diventa più complicato. La libertà creativa che siamo soliti prenderci viene
inevitabilmente contenuta da tante ragioni. La serie sul Papa era su un Papa
completamente inventato che non ci sarà mai, quindi, stando su una cornice di
verosimiglianza di quel mondo, l’inventiva era assoluta. Qui l’invenzione deve
essere contenuta per varie ragioni.
Posso
capire che a qualcuno possa stufare, questo è assolutamente legittimo, ma non
posso che fare film alla Sorrentino, è piuttosto difficile uscire da se stessi!
Molti dicono che cerco di imitare Kubrick, Fellini, Scorsese… tutto quello che
io posso dire è citare Radiguet che diceva ‘bisogna provare a imitare i
capolavori; è nella misura in cui non ci si riesce che si diventa originali’. Voi
mi avete sempre detto che non riesco a imitare queste persone, mi dovete almeno
concedere che sono originalissimo”.
E, per concludere, lasciamo la parola ai due attori
protagonisti, Elena Sofia Ricci (Veronica Lario) e Toni Servillo (Silvio Berlusconi):
Elena Sofia Ricci: “Io faccio un po’ di fatica a parlare di un personaggio reale,
esistente, che ho interpretato e ho cercato di interpretare. Mi sono preparata
leggendo la biografia della signora Lario, così ho potuto sapere qualcosa di
lei in particolare. Ma quando io ho letto la sceneggiatura che Paolo aveva
scritto, ho letto cose riferibili a Veronica Lario ma che riguardano un po’
tutte noi donne: il tema del disincanto, il tema della fine di un amore
importante, il sentire un progetto per il quale si è vissuto, sgretolarsi sotto
le mani, questo senso di malinconia, di dolore, di fine, la paura della
vecchiaia, il vedersi sfiorire, cosa che riguarda tutte noi donne che non
abbiamo più vent’anni. Non so se questa era l’intenzione di Paolo, a parte che mi
sono fatta guidare come una danzatrice di tango, ma di mio mi è venuto naturale
mettere proprio il sentimento di una donna – io ho 56 anni – con tutto quello
che una donna può aver vissuto. Il dolore della separazione è qualcosa che io
conosco, tutti sentimenti che molte di noi conoscono, il senso della dignità,
della difesa della propria dignità, mi sembrano sentimenti universali, non solo
di Veronica. Quando io ho visto il film, dopo un po’, io non vedevo né me
stessa nel film ma neanche Veronica, ma vedevo un po’ tutte noi donne che
abbiamo vissuto quel tipo di sentimento. Quindi con questo spirito io mi sono
semplicemente lasciata guidare da Paolo e ho avuto la fortuna di avere Toni
Servillo con il quale è facilissimo recitare perché è un gigante.
Parecchi
italiani si possono riconoscere in Veronica, anche gli uomini, ne sono certa. Sono
entrata a vedere ‘Loro’ e sono uscita dopo aver visto ‘Noi’, sia le parti più
brutte che più belle di noi. Per questo credo che il film sia molto potente,
quasi un’esperienza fisica che si fa, almeno io ho fatto, da spettatrice. Ed è
vera questa cosa della tenerezza. Questo è il sentimento che mi ha aiutato a
interpretare questo ruolo, anche un senso di pietas profonda”.
Toni Servillo: “Io
ho avuto la fortuna di fare ‘Il Divo’ con Paolo prima di questo film. Una fortuna
non solo perché è un film di cui sono orgoglioso ma perché ho avuto la
possibilità di mettere continuamente a confronto l’uno con l’altro nell’interpretare
un personaggio reale, soprattutto un personaggio politico. Il divo era un
personaggio che si attribuiva questa qualifica degli imperatori romani, un
personaggio che si muoveva totalmente negli ambienti e nei palazzi della
politica con una introversione che alimentava il mistero, il segreto. Questo personaggio
è completamente diverso, è un divo ma è un divo necessariamente estroverso che
si pone al centro della scena politica con una estroversione che ne fa quasi un
personaggio da cinema, cioè qualcuno che con la sua presenza occupa in maniera
ossessiva l’interiorità. Questo è il racconto della prima parte, di chi tenta
affannosamente di imitare con le azioni il modello, senza riuscirci. E questa è
la cosa che mi interessava di più nel dialogo tra le due interpretazioni. Poi quando
una sceneggiatura ti offre una scena come lo sdoppiamento… Quando io ho letto
la sceneggiatura e ho letto la scena con Ennio Doris ed Ennio Doris aveva lo
stesso volto di Berlusconi, del personaggio principale, o quando ho letto la scena
della telefonata, ho capito che Paolo ci portava in una zona che si allontanava
dalla cronaca e invece cercava di raccontare col linguaggio del cinema la cronaca,
come era accaduto nel divo.
La
cosa più interessante del privato del personaggio, a me è sembrata questa
distanza dagli spazi della politica e il modo in cui Paolo lo affronta, in
questo Eden sardo, in cui noi vediamo un personaggio in uno stato di
sopravvivenza che si alimenta del dolore o, cosa forse ancora più interessante,
il potere che si alimenta di questa condizione di sopravvivenza, cioè non
pianifica, non organizza ma aspetta il momento per rientrare in scena. Questo mi
sembrava il momento privato più interessante che poi viene sviluppato dopo. Poi,
è chiaro, uno fa riferimento anche alla dimensione documentata, ma quella basta
vivere, per documentarsi, in certe epoche che sono in diretta con il racconto
degli anni che abbiamo vissuto recentemente. Quindi nessun approccio troppo
meticoloso nell’imitare ma, invece, seguire fedelmente un’indicazione che mi
sembrava emergere con evidenza dalla sceneggiatura, di natura soprattutto
simbolica”.
Copyright foto © Silvia Sottile
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