Estate 1962, Olli Mäki (Jarkko Lahti) ha la possibilità di vincere il titolo mondiale di pugilato nella categoria pesi piuma. Dalla campagna finlandese alle intense luci di Helsinki, tutto è stato preparato per consegnarlo alla fama e al successo. Olli deve solo limitarsi a perdere peso e a concentrarsi. Ma c’è un problema: si è innamorato di Raija.
La vera storia di Olli Mäki, primo lungometraggio del regista finlandese Juho Kuosmanen, sarà nelle nostre sale dal 16 agosto, distribuito da Movies Inspired.
Note di regia
Il tono generale di La vera storia di Olli Mäki è leggero. Benché sia la storia di una crisi esistenziale e della ricerca di sé, è fondamentale che il racconto non sguazzi nel fango, ma che invece voli come un aquilone. La fortuna del mio film di diploma, The painting sellers, mi ha messo in una situazione piuttosto angosciante. Dopo aver vinto il primo premio alla selezione della Cinéfondation al Cannes Film Festival e dopo che mi fu promesso, come parte del premio, che il mio primo lungometraggio sarebbe stato presentato in prima mondiale nella selezione ufficiale di Cannes, in Finlandia sono stato definito un “promettente giovane regista”. Ricordo che stavo seduto alla scrivania a farfugliare e a pensare che cosa avessi promesso di preciso e a chi. Ovviamente ero anche molto lusingato, ma, col passare del tempo, ho iniziato a sentirmi sempre più in ansia sapendo che c’erano delle persone là fuori, persone che nemmeno conoscevo, che si aspettavano da me cose che non ero preparato a fare. Mi ero messo in testa l’idea di dover prima di tutto soddisfare delle aspettative che iniziavo ad avvertire sotto pelle. Alla fine sono riuscito a capire che il peso di continuare a soddisfare gli spettatori era tutto nella mia testa, e comunque la verità era che la mia creatività e la mia capacità di entusiasmarmi nel fare cinema avevano toccato il fondo. L’idea di La vera storia di Olli Mäki è stata un sollievo a questa situazione di angoscia. Il film si ispira a una storia vera e Olli Mäki è ancora oggi un pugile finlandese molto conosciuto. All’inizio della sua carriera da professionista, Olli ebbe l’occasione di sfidare il campione in carica dei pesi piuma dell’epoca, l’americano Davey Moore. Ma poi, di fronte a uno stadio pieno, perse l’incontro in modo umiliante al secondo round. In seguito Olli Mäki disse che era stato il più bel giorno della sua vita. (Juho Kuosmanen)
INTERVISTA AL REGISTA JUHO KUOSMANEN
Quando sei venuto a conoscenza della storia della sconfitta di Olli Mäki per il titolo mondiale e della storia d’amore iniziata con Raija mentre si allenava? Che cosa ti ha spinto a farne un film?
Era il 2011, avevo incontrato Olli e Raija a Kokkola. Olli adesso è gravemente malato di Alzheimer, ma ricorda ancora le sue vecchie imprese. Mi ha raccontato del suo incontro per il titolo disputatosi nel 1962 e, quando ha finito la sua storia, mi ha detto: “È stato il più bel giorno della mia vita”. Il suo volto sorridente mi ha costretto a domandargli, incredulo: “Come mai?”. È stato in quel momento che mi ha detto che lui e Raija, proprio quel giorno, avevano acquistato insieme gli anelli di fidanzamento. Ho pensato che fosse una bella storia, ma un po’ troppo classica per essere raccontata di nuovo. Con il passare delle settimane, però, la storia di Olli mi è rimasta in testa. Perché aveva comprato gli anelli proprio quel giorno? Io di pugilato sapevo poco, ma mi era comunque evidente che, se ti stai preparando a un incontro per il titolo mondiale, ti devi dedicare completamente all’incontro. Comprare gli anelli di fidanzamento proprio quel giorno mi sembrava una cosa assolutamente proibita. Poi, quando ho cominciato ad approfondire la storia di Olli, mi sono reso conto che era piena di bellissimi dettagli e di una complessità che la trasformava da fatto banale a qualcosa di speciale. L’arte è nei dettagli, ho sentito dire. Presto ho capito che la storia di Olli non era solo quella di una sconfitta nell’incontro e di una vittoria in amore. Non era proprio questione di vincere o perdere, bensì di trovare la tua strada verso la felicità, indipendentemente dalle aspettative altrui. L’incontro e la partecipazione di Olli erano in un certo senso uno scontro di visioni del mondo: un comunista finlandese di provincia messo sotto pressione per diventare famoso nella macchina dello spettacolo americano.
Nell’immaginario popolare, Olli Mäki è considerato un eroe nazionale o il simbolo di un fallimento della nazione?
Se non è un eroe nazionale, è quantomeno un eroe della classe lavoratrice. In generale lui è decisamente considerato come uno dei migliori pugili mai usciti dalla Finlandia. Dopo la sua sconfitta con Davey Moore, Olli Mäki ha continuato a fare pugilato fino al 1973. Ha conquistato il titolo europeo nel 1964, quindi ha vinto tanti incontri, e ha lasciato un’eredità che ha in parte spazzato via dalla coscienza nazionale il ricordo di questa pesante sconfitta del 1962. Alcuni dicono che Olli Mäki non era abbastanza ambizioso e che non aveva la personalità giusta per diventare un grande pugile. Dicono che era una persona troppo gentile, troppo un ‘bravo ragazzo’. Un esempio di ciò che gli ha fatto guadagnare questa reputazione è che Olli non ha mai cercato di mandare al tappeto i suoi avversari. Pensava che non ci fosse una buona ragione, se gli sembrava di aver ormai vinto l’incontro. Perciò a volte le stesse cose che fanno di te una brava persona non sono le stesse che ti consentono di raggiungere la vetta nel tuo sport.
Che rapporto hai oggi con il vero Olli Mäki? Ha avuto un ruolo nel film?
Ho incontrato Olli e Raija alcune volte. Purtroppo Olli è molto malato, al punto che non è pienamente al corrente del film. Raija è una persona meravigliosa e ci è stata di grande aiuto. Durante le riprese sono venuti a trovarci alcune volte e si vedono nel film, nell’ultima scena. I veri Olli e Raija incrociano i nostri personaggi e la finta Raija si domanda: “Pensi che diventeremo come loro?”; “Vuoi dire vecchi?”; “Sì, e felici”. “Certo che sì”, dice Olli, interpretato da Jarkko Lahti.
Per quale ragione e quando hai deciso di girare il film, ambientato nel 1962, in bianco e nero e in 16mm?
Due mesi prima delle riprese. Abbiamo testato molti supporti diversi, sia in pellicola che in digitale, ma era questo, il Kodak Tri-X, che aveva la grana giusta. Si tratta di una pellicola reversibile in bianco e nero, un supporto molto particolare. Non era solo l’aspetto, bensì la sensazione che produce. Tutto quello che giri con questa pellicola assume un tono tipico dei primi anni Sessanta. Dopo aver guardato i provini, è stata una decisione facile. Sentivamo che, con questo supporto, il film avrebbe ricondotto il pubblico agli anni Sessanta e non sarebbe stato necessario sottolineare il periodo storico con dettagli di oggetti tipici dell’epoca, automobili o acconciature. Abbiamo dovuto ordinare tutta la pellicola ancora presente in Europa e poi tutta quella che c’era negli Stati Uniti, e poi la Kodak ne ha dovuta produrre dell’altra. Non credo che sia una pellicola pensata per i lungometraggi. Negli anni Sessanta e Settanta veniva utilizzata per i cinegiornali.
Perché l’incontro per il titolo, e il pugilato in generale, occupano un posto così limitato nel film?
Volevamo concentrarci sugli aspetti nascosti. Il film racconta più il backstage che il ring. Volevo mostrare il pugilato come parte della vita di tutti i giorni e non trasformarlo in qualcosa di simbolico o di più importante delle altre scene. Va a braccetto con l’argomento del film. Inoltre, quando ti rendi conto che Rocky 7 è stato girato nello stesso periodo, puoi star certo che loro si concentreranno sulle scene di combattimento, quindi tu sei libero di dedicarti agli sguardi tra i personaggi e alle scene in cui vola l’aquilone. Ho visto tantissimi film di pugilato e alcuni di essi mi hanno quasi spinto a cambiare l’argomento del mio film, ma ne ho visti anche di belli. Insieme al mio direttore della fotografia abbiamo visto classici del Cinema Vérité anni Sessanta e sono loro a essere diventati il nostro principale riferimento visivo.Pensi che a volte l’industria cinematografica assomigli a quella del pugilato professionista?Assolutamente sì. Maggiore è il budget di cui hai bisogno, più sono le mani che devi stringere. Penso che una delle ragioni per cui ci sono tanti film di pugilato è che le due industrie si assomigliano. Ovviamente il pugilato è uno sport molto cinematografico, ma in quanto regista è molto facile calarti nei panni del protagonista. In fondo sei solo sul ring e c’è sempre la possibilità di prendere un sacco di botte. Non è possibile dirigere qualcosa che non capisci. Io non so molto di pugilato, ma mi è stato facile comprendere il nostro protagonista nelle situazioni in cui si trovava. Mi ci sono trovato anche io, a stringere mani e a promettere cose che non avrei dovuto promettere. Secondo me questo film parla tanto di regia quanto di pugilato. Sentivo che con questo approccio sarebbe stato facile rendere le stesse emozioni che io provavo in quanto regista. E mi dava la possibilità di avere uno sguardo più ampio e di sorridere di fronte alla mia crisi esistenziale. Ma questo è solo il mio punto di vista, non è qualcosa di nascosto nel film che gli spettatori devono scoprire. Spero che ognuno possa fare le proprie riflessioni
INTERVISTA AL REGISTA JUHO KUOSMANEN
Quando sei venuto a conoscenza della storia della sconfitta di Olli Mäki per il titolo mondiale e della storia d’amore iniziata con Raija mentre si allenava? Che cosa ti ha spinto a farne un film?
Era il 2011, avevo incontrato Olli e Raija a Kokkola. Olli adesso è gravemente malato di Alzheimer, ma ricorda ancora le sue vecchie imprese. Mi ha raccontato del suo incontro per il titolo disputatosi nel 1962 e, quando ha finito la sua storia, mi ha detto: “È stato il più bel giorno della mia vita”. Il suo volto sorridente mi ha costretto a domandargli, incredulo: “Come mai?”. È stato in quel momento che mi ha detto che lui e Raija, proprio quel giorno, avevano acquistato insieme gli anelli di fidanzamento. Ho pensato che fosse una bella storia, ma un po’ troppo classica per essere raccontata di nuovo. Con il passare delle settimane, però, la storia di Olli mi è rimasta in testa. Perché aveva comprato gli anelli proprio quel giorno? Io di pugilato sapevo poco, ma mi era comunque evidente che, se ti stai preparando a un incontro per il titolo mondiale, ti devi dedicare completamente all’incontro. Comprare gli anelli di fidanzamento proprio quel giorno mi sembrava una cosa assolutamente proibita. Poi, quando ho cominciato ad approfondire la storia di Olli, mi sono reso conto che era piena di bellissimi dettagli e di una complessità che la trasformava da fatto banale a qualcosa di speciale. L’arte è nei dettagli, ho sentito dire. Presto ho capito che la storia di Olli non era solo quella di una sconfitta nell’incontro e di una vittoria in amore. Non era proprio questione di vincere o perdere, bensì di trovare la tua strada verso la felicità, indipendentemente dalle aspettative altrui. L’incontro e la partecipazione di Olli erano in un certo senso uno scontro di visioni del mondo: un comunista finlandese di provincia messo sotto pressione per diventare famoso nella macchina dello spettacolo americano.
Nell’immaginario popolare, Olli Mäki è considerato un eroe nazionale o il simbolo di un fallimento della nazione?
Se non è un eroe nazionale, è quantomeno un eroe della classe lavoratrice. In generale lui è decisamente considerato come uno dei migliori pugili mai usciti dalla Finlandia. Dopo la sua sconfitta con Davey Moore, Olli Mäki ha continuato a fare pugilato fino al 1973. Ha conquistato il titolo europeo nel 1964, quindi ha vinto tanti incontri, e ha lasciato un’eredità che ha in parte spazzato via dalla coscienza nazionale il ricordo di questa pesante sconfitta del 1962. Alcuni dicono che Olli Mäki non era abbastanza ambizioso e che non aveva la personalità giusta per diventare un grande pugile. Dicono che era una persona troppo gentile, troppo un ‘bravo ragazzo’. Un esempio di ciò che gli ha fatto guadagnare questa reputazione è che Olli non ha mai cercato di mandare al tappeto i suoi avversari. Pensava che non ci fosse una buona ragione, se gli sembrava di aver ormai vinto l’incontro. Perciò a volte le stesse cose che fanno di te una brava persona non sono le stesse che ti consentono di raggiungere la vetta nel tuo sport.
Che rapporto hai oggi con il vero Olli Mäki? Ha avuto un ruolo nel film?
Ho incontrato Olli e Raija alcune volte. Purtroppo Olli è molto malato, al punto che non è pienamente al corrente del film. Raija è una persona meravigliosa e ci è stata di grande aiuto. Durante le riprese sono venuti a trovarci alcune volte e si vedono nel film, nell’ultima scena. I veri Olli e Raija incrociano i nostri personaggi e la finta Raija si domanda: “Pensi che diventeremo come loro?”; “Vuoi dire vecchi?”; “Sì, e felici”. “Certo che sì”, dice Olli, interpretato da Jarkko Lahti.
Per quale ragione e quando hai deciso di girare il film, ambientato nel 1962, in bianco e nero e in 16mm?
Due mesi prima delle riprese. Abbiamo testato molti supporti diversi, sia in pellicola che in digitale, ma era questo, il Kodak Tri-X, che aveva la grana giusta. Si tratta di una pellicola reversibile in bianco e nero, un supporto molto particolare. Non era solo l’aspetto, bensì la sensazione che produce. Tutto quello che giri con questa pellicola assume un tono tipico dei primi anni Sessanta. Dopo aver guardato i provini, è stata una decisione facile. Sentivamo che, con questo supporto, il film avrebbe ricondotto il pubblico agli anni Sessanta e non sarebbe stato necessario sottolineare il periodo storico con dettagli di oggetti tipici dell’epoca, automobili o acconciature. Abbiamo dovuto ordinare tutta la pellicola ancora presente in Europa e poi tutta quella che c’era negli Stati Uniti, e poi la Kodak ne ha dovuta produrre dell’altra. Non credo che sia una pellicola pensata per i lungometraggi. Negli anni Sessanta e Settanta veniva utilizzata per i cinegiornali.
Perché l’incontro per il titolo, e il pugilato in generale, occupano un posto così limitato nel film?
Volevamo concentrarci sugli aspetti nascosti. Il film racconta più il backstage che il ring. Volevo mostrare il pugilato come parte della vita di tutti i giorni e non trasformarlo in qualcosa di simbolico o di più importante delle altre scene. Va a braccetto con l’argomento del film. Inoltre, quando ti rendi conto che Rocky 7 è stato girato nello stesso periodo, puoi star certo che loro si concentreranno sulle scene di combattimento, quindi tu sei libero di dedicarti agli sguardi tra i personaggi e alle scene in cui vola l’aquilone. Ho visto tantissimi film di pugilato e alcuni di essi mi hanno quasi spinto a cambiare l’argomento del mio film, ma ne ho visti anche di belli. Insieme al mio direttore della fotografia abbiamo visto classici del Cinema Vérité anni Sessanta e sono loro a essere diventati il nostro principale riferimento visivo.Pensi che a volte l’industria cinematografica assomigli a quella del pugilato professionista?Assolutamente sì. Maggiore è il budget di cui hai bisogno, più sono le mani che devi stringere. Penso che una delle ragioni per cui ci sono tanti film di pugilato è che le due industrie si assomigliano. Ovviamente il pugilato è uno sport molto cinematografico, ma in quanto regista è molto facile calarti nei panni del protagonista. In fondo sei solo sul ring e c’è sempre la possibilità di prendere un sacco di botte. Non è possibile dirigere qualcosa che non capisci. Io non so molto di pugilato, ma mi è stato facile comprendere il nostro protagonista nelle situazioni in cui si trovava. Mi ci sono trovato anche io, a stringere mani e a promettere cose che non avrei dovuto promettere. Secondo me questo film parla tanto di regia quanto di pugilato. Sentivo che con questo approccio sarebbe stato facile rendere le stesse emozioni che io provavo in quanto regista. E mi dava la possibilità di avere uno sguardo più ampio e di sorridere di fronte alla mia crisi esistenziale. Ma questo è solo il mio punto di vista, non è qualcosa di nascosto nel film che gli spettatori devono scoprire. Spero che ognuno possa fare le proprie riflessioni
Qui il trailer:
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