Vincitore al Festival di Venezia 1948 del Premio
internazionale per i suoi valori figurativi e drammatici e del Premio dell’OCIC
“per essere il film più capace di
contribuire alla rinascita dei valori umani di morale e di spiritualità”, La croce di fuoco (The fugitive) di John
Ford è oggi un film quasi dimenticato. Interpretato da Henry Fonda e Dolores
del Rio, tuttavia, questa pellicola segna un momento di svolta nella
cinematografia hollywoodiana, che dopo i cali di introiti del secondo dopo
guerra, decise di ampliarsi verso il mercato latino americano in notevole
crescita.
Come Il
principe delle volpi di Henry King (di cui abbiamo parlato qui un anno fa) è
stato il primo film girato a Cinecittà dopo il conflitto mondiale, così La croce di fuoco è stato interamente
ripreso in Messico, in questo caso per “contrattaccare
il potere e il successo dell’industria cinematografica messicana nascente e
mettere sotto contratto star messicane a salari molto alti affinché venissero a
lavorare ad Hollywood” (cfr. Emilio
Fernàndez in Hollywood, Dolores Tierney).
Tra le location riconoscibili vi sono Taxco de Alarcón, Cholula, Cuernavaca e il sistema idrico
dell’acquedotto di Padre Tembleque, entrato a far parte del Patrimonio
dell’Umanità nel 2015. Ho scritto volutamente la parola ‘riconoscibili’ perché
in realtà il film è ambientato in un luogo non luogo “che può trovarsi mille miglia a nord o a sud dell’equatore”, anche
se è specificato chiaramente nel prologo che è stato girato in Messico.
Per capire queste strategie visive è bene partire
dal principio.
Il film è tratto da un romanzo di Graham Greene
(giallista inglese amatissimo da Hollywood in quel periodo. Tra i film tratti
dai suoi romanzi si ricordano Il
prigioniero del terrore, L’agente
confidenziale, Il terzo uomo e Il nostro agente all’Avana), ed è
ambientato in un Paese (evidentemente sudamericano), in cui il potere ha messo
al bando la religione, perseguitando i sacerdoti (il fuggitivo del titolo
originale è l’ultimo prete rimasto nel territorio, che tenta di nascondersi
dall’esercito con l’aiuto della comunità). Non volendo creare problemi con il
governo messicano (che tutto era tranne che contro i cristiani in quel momento),
ma volendo rivivacizzare i rapporti di buon
vicinato con il Messico ed enfatizzare l’apporto del cinema messicano alla
pellicola (davvero determinante), si creò questo escamotage. Da sottolineare,
inoltre, che questo escamotage era ancor più necessario, dal momento che il
romanzo di Greene era basato sulla reale persecuzione attuata da Tomás Garrido
Canabal, governatore di Tabasco, in Messico, dal 1920 al 1924 e ancora dal 1931
al 1934 “che perseguitò i cattolici,
chiuse le chiese e uccise i sacerdoti o li obbligò a sposarsi” (cit.) e il generale (Pedro Armendáriz) era
palesemente una figura a lui ispirata.
Solo una è la scena ambientata nei pressi del
sistema idrico dell’acquedotto di Padre Tembleque, ma di grandissimo impatto
visivo (come tutto il film, in cui la fotografia del messicano Gabriel Figueroa
gioca continuamente con i chiaroscuri, le ombre e le luci) e cruciale nella
storia, con il sacerdote che nega per tre volte di essere un sacerdote
(richiamando San Pietro) ad un viandante (in realtà un informatore della
polizia), interpretato da J. Carrol Naish. Credo che la scelta di mettere sullo
sfondo di questo povero prete sparuto un’opera immensa voluta e progettata da
un frate francescano non sia affatto casuale.
John Ford rimase sempre affezionato al risultato
ottenuto con questa pellicola, tanto che nel 1968 dichiarò a Peter Bogdanovich
per il suo volume John Ford
pubblicato per la University of California Press, ed uscito in Italia con il
titolo Il Cinema Secondo John Ford
(Pratiche Editrice Parma, 1990): “La
croce di fuoco è venuto esattamente come
volevo. Questo è il motivo per cui è uno dei miei film preferiti… per me era
perfetto… I critici lo hanno attaccato ed evidentemente non ha avuto un grande
successo di pubblico, ma io ero orgoglioso del mio lavoro”.
In effetti il film non ebbe il successo sperato,
tanto che originariamente si era pensato di girarne due versioni, una di
Hollywood in inglese ed una messicana direttamente in spagnolo (con un cast
diverso) entrambe prodotte dalla RKO, tuttavia il progetto morì prima ancora di
nascere. Questo in partenza era il motivo del grande coinvolgimento del regista
Emilio Fernàndez, prolifico ed amato cineasta messicano, che fece da aiuto
regia a Ford come in una sorta di prova generale per il film poi mai nato…
Curiosità: nel finale, dopo la morte del sacerdote
che, riconosciuta la sua missione e pronto al martirio pur di dare l’estrema
unzione ad un uomo (e così si conclude la parabola ispirata a San Pietro), la
chiesa del luogo, tuttavia, non rimase sola e bussa alla chiesa un nuovo
sacerdote, che viene accolto con deferenza da tutti. Sebbene assai poco
riconoscibile a causa dei giochi d’ombra che ne oscurano il volto, esaltandone
la figura, quel sacerdote altri non è che Mel Ferrer, al suo primo ruolo
cinematografico…
La motivazione per cui il Sistema idrico
dell’acquedotto di Padre Tembleque è stato inserito nel Patrimonio Culturale
nel 2015:
“Questo
acquedotto del XVI secolo si trova tra gli stati del Messico e Hidalgo,
sull’altopiano centrale messicano. Questo sistema di canali comprende un bacino
idrografico, sorgenti, canali, serbatoi di distribuzione e ponti per acquedotti
porticati. Il sito incorpora la più alta serie di archi a un livello mai
costruito in un acquedotto. Iniziato dal frate francescano Padre Tembleque e
costruito con il sostegno delle comunità indigene locali, questo sistema
idraulico è un esempio dello scambio di influenze tra la tradizione europea
dell’idraulica romana e le tecniche di costruzione tradizionali mesoamericane,
compreso l’uso dell’adobe”.
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