Il 2019 si è concluso con grande soddisfazione per
l’Italia nel Patrimonio Immateriale dell’Unesco: tre nuove tradizioni, infatti,
si sono aggiunte in bacheca, raggiungendo un totale di 12 ‘proprietà’
complessive. Le tre novità sono la Perdonanza Celestiniana (e quanto sono
felice per questo riconoscimento arrivato dopo vari tentativi e a cui ho anche
dedicato il racconto Mauro a L’Aquila,
tre anni dopo), la Transumanza e l’Alpinismo, quest’ultima in condivisione
con Svizzera e Francia.
Non c’è che dire, tra le tre, è l’alpinismo la
tradizione intangibile che è stata cantata di più dal cinema o dalla
televisione e ci sarebbero da citare moltissimi film (La montagna, Assassinio
sull’Eiger, Everest, etc.) o
serie tv (come non ricordare, per esempio, la prima stagione di Un passo dal cielo in cui Pietro Thiene,
interpretato da Terence Hill, è un alpinista sconvolto dalla morte della moglie
proprio durante una risalita?). La mia scelta, tuttavia, è ricaduta su La sfida del terzo uomo (1959) di Ken
Annakin.
Prodotto dalla Walt Disney Production, La sfida del terzo uomo racchiude,
infatti, una sintesi di come fosse l’alpinismo ai suoi albori e di come esso
fosse vissuto negli Anni Cinquanta.
Perché gli albori? La storia è tratta dal romanzo La piccola guida alpina (Banner in the
Sky) pubblicato nel 1954 da James Ramsey Ullman, scrittore ed alpinista
newyorkese che ha dedicato la sua vita nel narrare storie di montagna (fu, tra
l’altro, membro della spedizione americana che nel 1963 scalò l’Everest come
storico di viaggio – le sue memorie di quell’impresa furono poi pubblicate con
il titolo Americans on Everest: The
Official Account of the Ascent). Il romanzo è ispirato alla storia vera
della prima scalata del Cervino sul versante svizzero da parte del londinese
Edward Whymper avvenuta nel luglio del 1865. Si trattò di una scalata che entrò
nella storia, non solo per il risultato raggiunto (vi erano stati già vari
tentativi, ma sul versante italiano, anche da parte dello stesso Whymper), ma
anche perché durante l’ascesa morirono 4 persone (tre alpinisti britannici e
una guida svizzera). La morte causò un processo a Zermatt (si decretò infine
che l’incidente fosse dovuto ad una corda difettosa) e una grandissima eco in
Gran Bretagna, che portò molto scetticismo nei confronti di questa pratica,
tanto che la Regina Vittoria fu ad un passo dal proporre il bando a tutte le
attività alpinistiche perché ritenute troppo pericolose (chissà se nello
sceneggiato Victoria parleranno anche
di questo quando toccheranno questa data…).
La storia di Ullman è più leggera ed introduce il
personaggio fittizio di Rudi Matt, figlio di una guida alpina che morì anni
prima nel tentativo di risalita. Anche il nome del Cervino non è citato
espressamente (nel film la montagna viene chiamata Cittadella), ma credo che la
scelta di chiamare Matt la guida alpina e poi il figlio che tentano la scalata
della vetta sia un evidente richiamo al nome in lingua tedesca della montagna,
Matterhorn (il Corno di Matter).
Nel corso del film, girato in location con
magnifiche riprese del Cervino, è messa straordinariamente in evidenza
l’importanza delle tecniche nascenti dell’alpinismo e della preparazione che
bisogna avere per affrontare ascese così ardimentose.
E perché gli Anni Cinquanta? Se da una parte la
ricostruzione storica dell’alpinismo che fu è stata molto elaborata e curata,
d’altro canto non poteva mancare anche l’influenza dell’alpinismo dell’epoca in
cui fu girato il film.
E’ da sottolineare, infatti, che la fotografia della
seconda unità (ovvero proprio quella relativa alle scene girate sui monti) fu
affidata ad un uomo assai particolare: Gaston Rébuffat. Forse chi si intende di
cinema non lo conosce, ma gli appassionati di alpinismo sicuramente sì. Si
tratta di uno dei più noti alpinisti francesi degli Anni Quaranta e Cinquanta,
famoso, tra l’altro, per essere stato il primo a completare la trilogia delle
pareti nord delle Alpi e a salire tutte e sei le classiche pareti nord delle
Alpi, tra il 1945 e il 1952 (dove, ovviamente, è inserita anche la parete nord
del Cervino, che è la parete più difficile e non quella narrata nel film).
Con un esperto di tal fatta all’interno del film è
stato facile realizzare riprese mozzafiato e ricevere ogni tipo di consiglio
anche sui dettagli più invisibili relativi alle scalate.
Da aggiungere, inoltre, che anche gli attori hanno
seguito una formazione breve ma intensa prima dell’inizio delle riprese, in
modo tale che le controfigure avessero un ruolo marginale nel corso della
lavorazione del film.
Curiosità: Walt Disney si era recato spesso in
Svizzera in vacanza ed era rimasto affascinato dall’ambiente e dalle tradizioni
svizzere e questo lo spinse a produrre La
sfida del terzo uomo e a farlo girare proprio a Zermatt. Ma la sua passione
per il Cervino non si fermò qui. Egli fece infatti costruire proprio nel 1959
una struttura alta 147 piedi rappresentante la montagna all’interno di
Disneyland a Los Angeles (alle spalle del castello della Bella Addormentata),
struttura ancora in piedi, sebbene rimodernizzata.
La motivazione per cui l’Alpinismo è entrato nel
Patrimonio Immateriale dal dicembre 2019:
“L’alpinismo
è l’arte di arrampicarsi su vette e pareti in alta montagna, in tutte le
stagioni, su terreni rocciosi o ghiacciati. Implica abilità fisiche, tecniche e
intellettuali, usando tecniche, attrezzature e strumenti altamente specifici
come assi e ramponi. L’alpinismo è una pratica fisica tradizionale
caratterizzata da una cultura condivisa fatta di conoscenza dell’ambiente di
alta montagna, della storia della pratica e dei valori associati e di abilità
specifiche. Anche la conoscenza dell’ambiente naturale, il cambiamento delle
condizioni meteorologiche e i pericoli naturali è essenziale. L’alpinismo si
basa anche su aspetti estetici: gli alpinisti si battono per eleganti movimenti
di arrampicata, contemplazione del paesaggio e armonia con l’ambiente naturale.
La pratica mobilita principi etici basati sull’impegno di ogni individuo, come
non lasciare indietro tracce permanenti e assumere il dovere di fornire
assistenza ai professionisti. Un’altra parte essenziale della mentalità
alpinista è il senso dello spirito di squadra, rappresentato dalla corda che
collega gli alpinisti. La maggior parte dei membri della comunità appartiene a
club alpini, che diffondono le pratiche alpine in tutto il mondo. I club
organizzano gite di gruppo, diffondono informazioni pratiche e contribuiscono a
varie pubblicazioni, fungendo da motore per la cultura alpinista. Dal 20 °
secolo, i club alpini in tutti e tre i paesi hanno coltivato relazioni
attraverso frequenti incontri bilaterali o trilaterali a vari livelli”.
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