di Silvia Sottile
Freaks Out, di Gabriele Mainetti, con Claudio Santamaria, Aurora Giovinazzo, Pietro Castellitto, Giancarlo Martini, Giorgio Tirabassi, Max Mazzotta e Franz Rogowski, è al cinema dal 28 ottobre con 01 Distribution.
SINOSSI
Roma, 1943: Matilde, Cencio, Fulvio e Mario vivono
come fratelli nel circo di Israel. Quando Israel scompare misteriosamente,
forse in fuga o forse catturato dai nazisti, i quattro "fenomeni da
baraccone" restano soli nella città occupata. Qualcuno però ha messo gli
occhi su di loro, con un piano che potrebbe cambiare i loro destini... e il
corso della Storia.
NOTE DI REGIA
Dopo Lo chiamavano Jeeg Robot, con
Nicola Guaglianone, ci siamo domandati «e
adesso che facciamo, di altrettanto “fico”?». Un sequel era fuori discussione,
e così abbiamo iniziato a buttare giù alcune idee, guidati da un’unica, grande
domanda: «Tu cosa vorresti fare?».
Perché un film deve nascere prima di tutto dalla passione, non da un calcolo.
Il primo a pensare ai freak è stato Guaglianone, grande appassionato della
materia, che tra l’altro si era appena cimentato nel tema scrivendo Indivisibili. All’inizio non capivo:
soprattutto, da grande fan di Freaks
di Tod Browning, ricordavo quanto quel film – seppure di una bellezza unica –
fosse costato al suo autore, bannato da Hollywood per aver mostrato la “diversità”.
Sulle prime, insomma, avevo più di un dubbio. Non avevo ancora messo a fuoco la
visione più “pop” che si poteva dare del mondo dei freak, e come empatizzare con quei personaggi così “diversi”,
portando lo spettatore a voler stare accanto a loro.
Nel frattempo, anch’io coltivavo una mia personale ossessione, quella per la
prima guerra mondiale. A un certo punto, sul tavolo, c’erano 7 storie, anche
molto diverse tra loro (una era il romanzo di formazione di una bambina che
doveva trovare se stessa). Come era già successo per Jeeg, li “condensavamo”
man mano, finché un giorno con Nicola mi ha detto «ce l’ho: i freak li facciamo con i poteri, nella Seconda guerra mondiale».
È lì che ho visto per la prima volta i film, e da lì abbiamo iniziato a immaginare
i nostri “eroi”.
L’idea dei poteri un po’ mi spaventava: non volevo replicare Jeeg, e soprattutto mi interessava che
la forza dei protagonisti nascesse – più che dai singoli poteri – dall’unione
di 4 persone speciali. Mi sono sforzato di rendere originali e
“cinematografiche” queste loro abilità, ovviamente a modo mio, ma senza mai
dimenticare – e anzi esaltando – l’umanità dei personaggi: in questo il modello
è stato, oltre a Browning, un capolavoro come La donna scimmia di Marco Ferreri. Abbiamo sempre pensato ai nostri
protagonisti come gente vera, cercando di guardarli senza pietismo perché sono
loro stessi i primi a rifiutare ogni (auto)commiserazione, a non viversi come
“mostri” ma come persone.
Tornando ai poteri, spesso – dopo Jeeg – sono stato raccontato come la via
italiana ai “cine-comic”. Il punto, al di là del riconoscersi o meno in una
definizione, è che credo che il cine-comic sia, più che un vero e proprio
genere, una formula giornalistica che corre il rischio di dare lo stesso nome a
opere diversissime, dai film Marvel al primo X-Men di Brian Singer a un grande western moderno come Logan. E non è certo il “potere
speciale” di un personaggio a fare un cine-comic, altrimenti sarebbero cine-comic – che so io – Ghost,
o Il sesto senso, o Il profeta di Jacques Audiard. Quanto
alla mia formazione, io di fumetti ne ho sempre letti pochi, al massimo qualche
Dylan Dog (e soprattutto perché c’era
dentro un po’ di sesso): sono stato un figlio del mio tempo, per me erano più
importanti i cartoni animati (come appunto Jeeg
Robot). Poi, da adulto, mi sono avvicinato al mondo dei manga, dove la
divisione tra buoni e cattivi non è manichea, basta pensare a Devilman. Insomma, tra Devilman e Spiderman, chi mai sceglierebbe Spiderman?
Cercare di comprendere, senza giudicare. Anche i cattivi. Credo che la riuscita
di un film come questo (o come Jeeg)
si misuri anche nella capacità di rendere tridimensionali gli antagonisti.
Franz, il cattivo di Freaks Out,
incarna ovviamente una delle pagine più buie della storia, ma è anche un
perdente totale, il risultato di una frustrazione famigliare e sociale, a cui
Franz Rogowski ha regalato a tratti una tenerezza “inspiegabile”. I cattivi che
mi spaventano di più, nella storia del cinema, sono quelli che nascondono una
debolezza, una sofferenza: il Buffalo Bill di Il silenzio degli innocenti, ma anche il Darth Vader dei primi Star Wars. Per questo ci siamo
avvicinati a Franz cercando nel suo vissuto personale le ragioni che possono
averlo spinto ad abbracciare il Male. Credo che l’attenzione per le “sfaccettature” dei personaggi, anche le
più inaspettate e imprevedibili, si ricolleghi in qualche modo alla tradizione
del nostro cinema, che certo non ha il culto dell’eroe “senza macchia e senza
paura”: basta guardare alla commedia all’italiana, popolata di figure
irresistibili seppure meschine, bieche, persino mostruose.
Soffrivo molto quando, all’uscita di Jeeg,
alcuni che magari non l’avevano ancora visto pensavano fosse un film
“maschile”. Al contrario, io l’ho sempre visto come un film profondamente femminile,
che ha nell’Alessia di Ilenia Pastorelli il vero motore, una sorta di “mentore”
toccata dalla grazia di saper credere in un supereroe (e non certo dei più
tradizionali). Allo stesso modo, il femminile è centrale anche in Freaks Out, dove in fondo gli uomini
sono tutti – chi più chi meno – un po’ “piagnoni”, ed è Matilde (interpretata
da una ragazza che per me è un’autentica rivelazione, Aurora Giovinazzo) a scoprirsi
la vera guida del gruppo. Abbiamo raccontato l’ingresso nella vita adulta di
una ragazzina ancora pura: non ci interessava inseguire un femminile “falso”,
alla Wonder Woman, con le donne che
menano come fabbri. Volevamo invece accompagnare una bambina alla scoperta
della forza che possiede dentro di sé. Che poi è la forza delle donne, che non
ritrovo in me stesso e negli uomini che mi circondano. Ma che ho sempre visto,
da quando sono piccolo, nelle donne della mia famiglia, e adesso vedo nella mia
compagna.
Gabriele Mainetti
Qui il trailer:
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