di Silvia Sottile
È andato tutto bene è un film di François Ozon con Sophie Marceau, André Dussollier, Hanna Schygulla, Charlotte Rampling. Sarà nelle nostre sale dal 13 gennaio con Academy Two. È stato presentato in concorso al Festival di Cannes.
André ha 85 anni ed è stato un cattivo padre. Ma è anche un uomo carismatico, dalla vita sentimentale brillante e burrascosa, curioso di tutto, un profondo amante della vita. Quando si ammala, la figlia Emmanuèle si precipita ad aiutarlo, ma André le fa un’ultima, difficile richiesta. Come può una figlia dire no al proprio padre?
INTERVISTA CON FRANÇOIS OZON
Come ha incontrato Emmanuèle Bernheim?
Ho incontrato Emmanuèle nel 2000, tramite Dominique Besnehard, che
all’epoca era il mio agente.
Avevo girato i primi quindici minuti di Sotto la sabbia e le riprese erano
ferme per problemi produttivi e finanziari. Non eravamo convinti né della
sceneggiatura né delle scene girate.
Dominique mi suggerì di incontrare una scrittrice che non conoscevo Emmanuèle
Bernheim, per una ristesura della sceneggiatura. Pensava che sarebbe stata la
persona giusta e aveva ragione: si creò subito una sintonia tra di noi e in
seguito diventammo amici.
Avevamo gusti simili per quanto riguardava i film, gli attori e la loro
fisicità e mi innamorai del suo stile di scrittura molto fisico, “ridotto all’
osso” per usare la sua espressione, uno stile che era simile a quello usato per
scrivere le sceneggiature.
Quale è stata la sua reazione quando ha
letto È andato tutto bene?
Mi ha inviato la bozza di stampa e mi sono commosso nello scoprire e nel
condividere la sua esperienza con suo padre. Ho amato il ritmo, il tono,
l’accelerazione finale, la suspense che lo rende quasi un romanzo giallo e
l’ambiguo e ambivalente sollievo delle due sorelle per aver compiuto la loro
“missione”.
Emmanuèle mi chiese se fossi interessato ad adattare il libro per il cinema.
Ero sicuro che sarebbe potuto diventare un bellissimo film ma era una storia
talmente sua che in quel momento particolare della mia vita, non riuscivo a
vedere come avrei potuto farla diventare mia. Diversi registi mostrarono
interesse per il libro e ci furono svariate offerte per i diritti. Lei mi tenne
informato fino alla proposta di Alain Cavalier che sfortunatamente non fu in
grado di realizzare il film perché Emmanuèle si ammalò di cancro. Cavalier
riuscì comunque a tirare fuori da quell’esperienza nel 2019 un bellissimo documentario, Living and Knowing You Are Alive (Être vivant
et le savoir).
Che cosa l’ha spinta ad adattarlo
adesso?
La morte di Emmanuèle, la sua assenza, mi hanno fatto desiderare di essere
ancora con lei. E forse anche, a livello personale, mi sono sentito pronto a
tuffarmi nella sua storia. Mi è successo spesso con i libri che ho adattato che
avessi bisogno di tempo per lasciarli maturare, per scoprire come farli miei. E
volevo lavorare con Sophie Marceau. Ho pensato a lei per diversi miei film e ci
siamo incrociati spesso ma non siamo mai venuti a capo di nulla. Intuitivamente
sentivo che questo era finalmente il momento giusto, il progetto giusto. Così
le ho mandato il libro di Emmanuèle di cui lei si è innamorata. E ho iniziato a
scrivere la sceneggiatura.
Lei sta esplorando un problema sociale
in questo film come ha fatto con Grazie a Dio ma il suo approccio questa volta
è molto diverso. Qui sta usando un’angolazione più intima.
In Grazie a Dio sono partito da un’esperienza
personale, ma il film si è subito allargato ad esplorare l’esperienza di un
gruppo e l’aspetto politico dell’argomento. Qui, mi focalizzo sull’esperienza personale
di Emmanuèle. Il film non diventa mai un dibattito sull’eutanasia. Ovviamente
siamo tutti spinti a esplorare i nostri sentimenti e le nostre domande sulla
morte ma quello che mi interessava sopra ogni altra cosa era la relazione fra
il padre e le figlie.
Nel raccontare questa storia ho sentito il grande stress che Emmanuèle deve
aver provato nell’affrontare una società che non ci permette di organizzare una
morte desiderata in un modo legale e strutturato. Non credo che i figli o i
cari della persona che desidera morire dovrebbero caricarsi di questo fardello
con il senso di colpa che lo accompagna.
Come ha fatto ad adattare il libro?
Emmanuèle descrive le azioni in modo comportamentista. Il libro è pieno di dialoghi e discussioni quindi adattarlo è stato piuttosto semplice. Ma c’erano dei buchi nella storia, intuivo cosa potesse mancare ma non ne ero completamente sicuro. Così, proprio come ho fatto in Grazie a Dio, ho iniziato un’indagine personale, principalmente con i protagonisti della storia ancora in vita: il compagno di Emmanuèle, Serge Toubiana e la sorella Pascale Bernheim.
C’era un’assenza lampante nel libro di
informazioni su Claude de Soria, la madre di Emmanuèle.
L’unico punto debole del libro. Di questa madre
sappiamo solo che era molto malata e cronicamente depressa.
Dal film veniamo a sapere che è un’artista.
Sono venuto a saperlo piuttosto tardi, dopo la morte di Emmanuèle. Claude de
Soria era una scultrice importante, conosciuta nel mondo dell’arte. Fui
sorpreso di sapere che c’era un’altra artista in famiglia oltre ad Emmanuèle.
Pascale Bernheim mi diede un libro su sua madre e mi mostrò le sue opere e un
documentario dove la vediamo lavorare con il cemento. Claude de Soria non intellettualizza
né concettualizza mai le sue opere. Le evoca concretamente in termini organici,
materiali. Emmanuèle faceva la stessa cosa con la sua scrittura. Il suo primo
libro si intitola Il coltello a serramanico (Le Cran d'arrêt). Non ho potuto
fare a meno di notare un riferimento alle sculture di Claude de Soria che hanno
l’aspetto di coltelli o lame. Questo tramandarsi di immagini nelle loro opere
ha nutrito la mia immaginazione relativamente alla famiglia e ha reso ancora
più interessante il rifiuto di Emmanuèle che in casa non ha neppure una delle
opere di sua madre.
Un’altra storia nel libro: l’enigmatico
G.M. che nel film si chiama Gérard.
Nel libro tutti i personaggi hanno un nome definito
ad eccezione del misterioso G.M che era l’amante di André. Non è mai piaciuto
alle sorelle e questo era il loro nome in codice per lui: G.M. ovvero “grosse
merde”. Emmanuèle era preoccupata da come avrebbe reagito e per questo non lo ha
nominato nel libro e ha anche cambiato il suo nome.
Emmanuèle e sua sorella erano convinte che fosse stato lui a denunciarle alla
polizia ed erano furiose. Per colpa sua sarebbe stato impossibile per loro
accompagnare il padre in Svizzera. Ero affascinato e divertito da questo
personaggio che non ho mai incontrato. Immaginavo che Gérard amasse
sinceramente André e volesse salvarlo. Nel film Emmanuèle difende Gérard
affermando che si era rivolto alla polizia spinto dall’amore.
Quanto si è sentito libero di prendersi
delle libertà rispetto alla realtà raccontata nel libro?
Naturalmente non era mio desiderio tradire Emmanuèle. Ma avevo bisogno di fare
mia la storia.
Conoscevo Emmanuèle abbastanza bene da sapere che non si sarebbe offesa e non
mi avrebbe censurato. Forse le sarebbe addirittura piaciuto il fatto che il
personaggio di G.M. non fosse così malvagio in fondo. Era generosa nella sua
scrittura con una tendenza ad ammorbidire la violenza e concentrarsi
sull’umanità e sulla bellezza delle cose.
Emmanuèle e sua sorella Pascale sono molto vicine ma tra loro esiste anche un
po’ di rivalità.
André chiese ad Emmanuèle di aiutarlo a morire, non a Pascale. Questo implica
elementi sulla psicologia familiare che non erano espresse chiaramente nel
libro e hanno solleticato la mia immaginazione. In verità Emmanuèle era sola
quando ha ricevuto l’ultima telefonata dalla svizzera.
Ma volevo mettere insieme le due sorelle anche se Emmanuèle aveva tenuto la
chiamata per se stessa.
Quello che André sta chiedendo a sua figlia potrebbe sembrare inaccettabile ma
la sua simpatica malizia lo rende irresistibile. Certe persone hanno tanto
carisma che è impossibile non amarle. Sono magari impertinenti e ciniche ma al
tempo stesso così intelligenti, affascinanti e divertenti... André è una
persona profondamente egoista ma è pieno di vita. Ha sposato Claude de Soria
per attenersi alle convenzioni borghesi ma nonostante questo ha vissuto la sua
vita come ha voluto, senza limitazioni, abbracciando la sua omosessualità. Ha
fatto quello che desiderava.
Emmanuèle parlava spesso di suo padre, lo amava e lo ammirava. So che ridevano
molto insieme. Lo percepiamo leggendo il libro ed era importante per me
esprimerlo nel film.
È da tempo che lei desiderava lavorare
con Sophie Marceau.
Sophie Marceau è un’attrice della mia generazione. In un certo senso sono
cresciuto con lei e mi ha sempre interessato.
Mi è piaciuto filmarla ora che è poco più che cinquantenne. Questo film è una
sorta di documentario su di lei allo stesso modo in cui Sotto la sabbia lo è
stato su Charlotte Rampling. Non finge mai. È là, presente, accoglie le
sensazioni ed esprime la propria sensibilità. In cucina con Serge, alla fine
crolla e si rifugia fra le sue braccia. Non avevo scritto la scena in quel
modo. Non volevo che piangesse, volevo risparmiare le sue emozioni per la scena
della telefonata con la signora svizzera. Ma Sophie ha sentito la cosa diversamente e aveva ragione.
Ci parli della scelta di André
Dussollier per interpretare “il vecchio incorreggibile”
Adoro André nei film di Alain Resnais. E in Il bel matrimonio di Rohmer. È
rimasto subito entusiasta della storia e ha capito immediatamente il
personaggio. Gli piaceva il suo umorismo impassibile, inglese e ha contribuito
al suo ruolo con una deliziosa sfacciataggine. Gli ho mostrato dei filmati di André
Bernheim in modo che potesse trarre ispirazione dalla sua personalità e dal suo
modo di parlare. Il libro era molto preciso e abbiamo anche incontrato dei
medici che ci hanno spiegato le diverse fasi delle conseguenze di un ictus per
rendere l’interpretazione il più realistica possibile.
La precisione di André, la sua ossessione per la credibilità della sua interpretazione,
il suo modo di parlare, sono tutti elementi che hanno contribuito a
perfezionare il personaggio. Non aveva timori per quanto riguarda la sua
immagine – ci ha permesso di radergli la testa e di deformare il suo volto con
una protesi. Gli ho detto, “Quando il pubblico vede André per la prima volta
deve essere scioccato e non credere che sei tu.” Volevo che la paralisi di
André fosse pronunciata fin dall’inizio.
Man mano che si avvicina alla morte la paralisi diminuisce e la verve e la
gioia di vivere di André ritornano.
Questa è la terza volta che lavora con
Géraldine Pailhas.
Ho pensato a Géraldine immediatamente per il ruolo della sorella di Sophie.
Nelle loro carriere ci sono paralleli che rendono facile immaginarle come
sorelle. Entrambe hanno iniziato con Claude Pinoteau e hanno lavorato con
Maurice Pialat quando erano giovani. È stato ancora una volta un vero piacere
lavorare con Géraldine. Capisce sempre subito che cosa voglio.
Si è immersa completamente nel personaggio di Pascale, e lei e Sophie sono
entrate in grande sintonia. Sono persone molto diverse ma sono andate
d’accordissimo.
Charlotte Rampling era la scelta ovvia per il ruolo della loro madre. È un
ruolo minore ma chiave; la sua presenza è molto importante. E volevo mettere in
luce Claude de Soria, l’artista. Queste motivazioni hanno convinto Charlotte
oltre al nostro attaccamento a Emmanuèle per Sotto la sabbia.
E Hanna Schygulla nel ruolo della
signora svizzera?
L’ho incontrata anni fa al festival di Amburgo, dove mi ha consegnato il
Premio Douglas Sirk! La ammiro come attrice e mi è piaceva moltissimo nei film
di Fassbinder. Le ho chiesto in un primo momento se fosse in grado di
riprodurre un accento svizzero-tedesco, ma il suo tentativo non era molto
armonioso. E visto che mi piacevano il tono della sua voce e il suo morbido
accento tedesco quando parla francese, le ho detto “Lascia stare l’accento
svizzero-tedesco. Sarai una donna tedesca che lavora in Svizzera.”
Nel libro, Emmanuèle abbraccia la poliziotta. Ma io volevo che abbracciasse la
signora svizzera, un bel personaggio, che trasuda un’umanità misteriosa.
Filmare un uomo costretto in un letto di
ospedale deve presentare particolari problemi per un regista.
Certamente. Filmare un personaggio disteso in un letto d’ospedale implica
una telecamera fissa e riprese ripetitive. Per fortuna c’erano parecchi
cambiamenti di location. André Bernheim cambiò spesso ospedali e noi seguimmo
quei cambiamenti. Iniziamo a Lariboisière, un ospedale pubblico, poi ci
spostiamo in un ospedale più di lusso e infine approdiamo in una clinica
privata. Questi cambiamenti ci hanno permesso di esplorare man mano diverse
esperienze ospedaliere.
La scena della nuotata in Britannia è emblematica del suo desiderio di inserire
vita nella storia ad ogni occasione.
Il film avrebbe potuto essere ambientato interamente in una stanza d’ospedale
ma non volevo realizzare un morboso film medico a porte chiuse. André Bernheim
era un uomo che stava decisamente dalla parte della vita. Il suo desiderio di
morire nasce dal fatto che non può più vivere nel modo in cui ama vivere. Il
film sta dalla parte della vita, come del resto il libro.
Ogni volta che potevo infondere alla storia un po’ di umorismo o ironia, l’ho
fatto. È venuto naturale, con le situazioni e i personaggi. Ed era necessario.
Quando giri un film che sta dalla parte della vita hai bisogno di ridere.
Emmanuèle era molto divertente e amava ridere. E così anche suo padre a quanto
pare. Condividevano una sorta di umorismo nero. Sono sicuro che le sarebbe
piaciuto il fatto che ho filmato la scena che mi ha raccontato Pascale, in cui
la Q cade dalla parola “coquille” nel ristorante della clinica, passando da ‘conchiglia’ a ‘coglione’.
Il film dà la sensazione di essere un
diario, scandito da date.
Questa storia è un conto alla rovescia, quindi le date sono importanti.
Soprattutto per André. È lui che vuole fissare una nuova data per la sua morte,
dopo aver cancellato il primo appuntamento. La sua più grande paura è di
perdere il senno e non possedere più l’autodeterminazione richiesta per decidere
la propria morte. Le sue figlie non sarebbero più in grado di organizzare il
viaggio se dovesse perdere la capacità di prendere la decisione consciamente.
Man mano che ci si avvicina al giorno fatidico, sale la tensione: andrà fino in
fondo con il suo piano? Cambierà idea?
I flashback conferiscono alla storia una
dimensione temporale e illusoria.
Erano molto sorprendenti nel libro di Emmanuèle, lontani dal suo consueto stile
di scrittura. Mi sono domandato davvero se dovessi conservarli e in tal caso
come li avrei filmati? Volevo che fossero evocativi piuttosto che esplicativi.
Reminiscenze della crudeltà di suo padre.
La fede ebraica viene evocata in
particolare quando la cugina americana critica André per voler mettere fine
alla sua vita dopo che tanti nella loro famiglia erano morti nei campi di
concentramento.
Nella realtà, fu la sorella di André e non sua cugina a sopravvivere al
campo di concentramento. Ho usato quel dettaglio per creare un episodio con sua
cugina Simone. L’ho aggiunto, non era nel libro.
Mi sembrava importante capire la decisione di André di morire in relazione alla
sua storia familiare.
Emmanuèle non mi parlò mai di questo.
André chiede di leggere il Kaddish al suo funerale per la bellezza della
preghiera: lo chiede perché era un esteta, non perché fosse religioso.
Vuole
aggiungere qualcosa, per concludere?
Sono
contento di aver raccontato questa storia ma vorrei che Emmanuèle fosse ancora
qui. Avrei desiderato tanto mostrarle il film. Era così franca, così onesta e
colpiva sempre nel segno. Mi avrebbe dato la sua opinione che è sempre stata
importante per me nel mio lavoro. Ciò che mi rende felice oggi è pensare che il
film possa ispirare le persone a scoprire le opere di Claude de Soria e soprattutto
a leggere o rileggere i libri di Emmanuèle.
Qui il trailer:
Nessun commento:
Posta un commento