di Silvia Sottile
Presentato in anteprima mondiale in concorso al Festival di Cannes ed evento di preapertura della Festa del Cinema di Roma 2024 in collaborazione con Alice nella città, Megalopolis è al cinema dal 16 ottobre, distribuito da Eagle Pictures.
Scritto, diretto e prodotto da Francis Ford Coppola,
il film è interpretato da Adam Driver, Giancarlo Esposito, Nathalie Emmanuel,
Aubrey Plaza, Shia LaBeouf, Jon Voight, Laurence Fishburne, Dustin Hoffman,
Jason Schwartzman, Talia Shire.
Un artista geniale con il potere di
fermare il tempo combatte contro un sindaco ultraconservatore per salvare il
mondo morente e ispirare speranza. Megalopolis è un’epopea
romana ambientata in un’America moderna e immaginaria. La città di New Rome sta
cambiando, causando aspri conflitti tra Cesar Catilina, geniale artista che
cerca di proiettarsi in un futuro utopico e idealistico, e la sua nemesi, il
sindaco Franklin Cicerone, reazionario e legato a uno status quo regressivo,
avido e corrotto. Tra i due si inserisce Julia, la figlia del sindaco che,
essendo innamorata di Cesar Catilina, si trova a dover scegliere in chi riporre
la propria lealtà e a chiedersi cosa merita, davvero, l’umanità.
Megalopolis è
il sogno di una vita di Francis Ford Coppola, un film a lungo desiderato e
finalmente realizzato. Una favola visionaria immaginata dal regista quasi sotto
forma di un’allegoria. Un’utopia distopica che attinge al passato prendendo in
prestito la metafora dell’antica Roma, per parlare del presente e del futuro.
È un’opera smodatamente ambiziosa, straripante,
eccessiva, barocca e decadente che trabocca di infinito amore (per l’arte, per
il cinema, per il futuro, per i giovani, per la vita), perché l’amore è il
cuore pulsante di tutto. Un’opera ‘difficile’, forse suicida, in cui Coppola ha
riversato tutto se stesso con grande passione (investendoci anche in prima
persona) a cui però purtroppo non corrisponde un risultato all’altezza.
Megalopolis è un film esagerato, caotico, folle, allucinato,
per lunghi tratti incoerente e privo di un senso logico (in particolare nel
lungo, confuso e faticoso atto centrale), quasi irricevibile. Eppure riesce
comunque ad affascinare. Sia per l’amore che traspare, il senso di libertà
creativa e l’enorme coraggio del Maestro nel voler lasciare al mondo e ai
giovani una sorta di testamento (artistico ma non solo). Sia per la cura
maniacale dei dettagli, in particolare del comparto tecnico: fotografia,
scenografie, costumi, montaggio, rendono la pellicola un vortice visivamente
strabiliante.
È tutto ‘troppo’. Si travalicano
davvero i limiti del gusto e della comprensione. Ciò nonostante, sebbene il
fallimento e la delusione siano quasi inevitabili, è un’opera che va vista, ovviamente
in sala, perché non lascia assolutamente indifferenti, nel bene o nel male. Un film
troppo ambizioso, esageratamente visionario, un sogno poetico e utopico, a tratti
filosofico, che si chiude con una nota di speranza per il futuro. Perché il
futuro è adesso. Del resto “Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”.
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