di Silvia Sottile
La quarta e ultima stagione della serie evento tratta dai romanzi di Elena Ferrante è stata presentata in anteprima con i primi due episodi alla Festa del Cinema di Roma. Prodotta da HBO-Rai Fiction, la serie tv L'amica geniale - Storia della bambina perduta, andrà in onda su Rai 1 in cinque prime serate, a partire da lunedì 11 novembre.
Diretta da Laura Bispuri (dopo le prime due stagioni dirette da Saverio Costanzo, creatore delle serie, che rimane in veste di produttore esecutivo e sceneggiatore insieme a Francesco Piccolo e Laura Paolucci) l’ultima stagione vede protagoniste Alba Rohrwacher ed Irene Maiorino, affiancate da Fabrizio Gifuni, Stefano Dionisi, Pier Giorgio Bellocchio, Edoardo Pesce e Sonia Bergamasco.
Le protagoniste Lina (Lila) ed Elena (Lenù), ormai
adulte, hanno alle spalle anni pieni di cadute e rinascite. Ambedue hanno
lottato per abbandonare la prigione di conformismo, violenze e legami difficili
da spezzare nella quale hanno dovuto trascorrere l’infanzia.
Elena è una scrittrice affermata, ha lasciato Napoli,
si è sposata e poi separata, ha avuto due figlie e torna a Napoli per inseguire
un amore giovanile che si è di nuovo materializzato nella sua vita. Lila è
rimasta a Napoli, invischiata nei rapporti familiari e camorristici, ma si è inventata
una carriera di imprenditrice informatica ed esercita il suo carisma nel ruolo
di leader – nascosta ma reale – del rione, pronta allo scontro con i potenti
fratelli Solara.
Attraverso le ulteriori prove cui la vita le
sottopone, scopriranno nuovi aspetti delle rispettive personalità e del legame
d’amicizia che le unisce, nonostante tutto. Intanto, la storia d’Italia e del
mondo si srotola sullo sfondo e anche con questa le due donne si dovranno
confrontare.
Una produzione Fandango, The Apartment, Fremantle
Italy, Wildside e Mowe con Lorenzo Mieli che produce per Fremantle Italy, The
Apartment e Wildside (entrambe società del gruppo Fremantle), e Domenico
Procacci per Fandango, in collaborazione con Rai Fiction e HBO Entertainment.
Abbiamo incontrato in conferenza stampa alla Festa del
Cinema di Roma la regista, il cast, i produttori e gli sceneggiatori. Ecco cosa
ci hanno raccontato.
Laura,
come è stato entrare in questo mondo che era già stato costruito? Che lavoro
hai fatto per tirare le fila di tutto e al tempo stesso fare tuo questo
racconto?
Laura Bispuri: “È
stata una sfida grandissima. Quando Saverio me l’ha proposto, mi ha emozionato
per la fiducia che ha avuto nei miei confronti. È stata una grande avventura,
anche complessa. Da una parte avevo enorme rispetto, quasi ossequioso, verso il
passato, le precedenti stagioni, i personaggi, la costruzione del mondo creato
da Saverio. Mi sentivo di entrare quasi in punta di piedi. Nello stesso tempo
non volevo entrare in punta di piedi, volevo portare anche il mio. Sentivo questa
spinta alla novità, data anche dal cambio del cast che in qualche modo portava
un bisogno di cambiare le cose. Quindi ho cercato di muovermi in questo modo,
cercando un’armonia costante e cercando di portare il mio stile, la mia
sensibilità, il mio lavoro con gli attori, portare tutto questo al servizio
della serie. Leggendo i romanzi della Ferrante, alla fine la cosa che io stringo
in mano è questa fortissima capacità che lei ha di raccontare questi
personaggi, queste relazioni, queste emozioni, con verità, con sincerità,
andando a fondo. Questo è quello che cercavo di fare, cioè avere io stessa un
approccio vicino alla verità. Per fare questo dovevo in qualche modo legarmi al
mio modo di guardare il mondo però, ripeto, al servizio della serie. È stato un
lavoro capillare, giorno per giorno, in cui ho cercato di portare gli attori. A
differenza di Daniele Luchetti che nella terza stagione si è trovato a lavorare
con attori che già incarnavano i personaggi, la sfida grande di questa stagione
era proprio ripartire da zero, riportare tutti i nuovi attori dentro quei
personaggi che il pubblico ha tanto amato. È stato un lavoro millimetrico che
con grandi attori e attrici è stato un piacere fare. Abbiamo cercato proprio di
entrare nell’anima di questi personaggi, nelle sfumature più piccole”.
Saverio,
perché hai pensato che la sensibilità di Laura, il suo sguardo, fosse coerente
con il racconto a cui abbiamo assistito finora, che tutto fosse omogeneo
guardando la serie nella sua interezza?
Saverio Costanzo: “Ho
sempre pensato che Laura con i film che aveva fatto avesse mostrato una grande
eleganza nel lavoro con gli attori in particolare e L’amica geniale è per me un
lavoro sui personaggi e sugli attori. Ha sempre lavorato con personaggi
femminili molto pericolosi, e L’amica geniale ha dei personaggi femminili molto
pericolosi. Ha dimostrato di non tirarsi indietro rispetto alle sfide più
difficili nel racconto dell’anima femminile. E poi perché è elegante, i suoi
film lo sono, lo è lei, la sua anima. Non perché è una donna, ci tengo a dirlo.
Non è una questione di genere, non credo alle questioni di genere nell’arte. Questo
è quello che ci ha portati a lei. Devo dire che 10 episodi girati tutti da un
solo regista è un’impresa epica. È come salire sull’Everest. Lei lo ha fatto e
non è scontato”.
Non
è raro che ci siano film o serie che abbracciando svariati decenni, vedano la
presenza di attori e attrici di età diverse che interpretano gli stessi
personaggi. Normalmente sono i giovani attori che pendono dalle labbra degli
attori e attrici più esperti, bravissimi come voi, per imparare e rubare un po’
di mestiere. Questo caso è invece un po’ particolare perché le giovani attrici
che interpretano i vostri ruoli sono state in televisione per tanto tempo, sono
diventate delle beniamine del pubblico. Sono state in qualche modo un
riferimento per voi?
Alba Rohrwacher: “Sì,
sono state più che un riferimento. Almeno il lavoro di Margherita Mazzucco è
stato più di un riferimento per me. Ho avuto la fortuna e la possibilità di
conoscere Margherita da quando aveva 14 anni. Sono stata presente al suo
diventare un’attrice attraverso il lavoro eccezionale che lei ha fatto ne L’amica
geniale. Quindi ho lavorato con lei nel buio di una sala di doppiaggio per mesi
e mesi, cercando di appoggiare la mia voce alla sua recitazione, cercando di
seguire la sua recitazione, di farmi ispirare. È stato un lavoro enorme quello
che abbiamo fatto sia con Saverio che con Daniele Luchetti, su Margherita con
la mia voce. Quindi ricevere il testimone da lei è stato molto emozionante. Quando
abbiamo girato con Daniele l’ultima immagine della terza stagione, ricordo
benissimo quella giornata: eravamo vestite tutte e due nello stesso modo,
pettinate nello stesso modo, e ci passavamo il testimone di un personaggio
tanto importante come quello di Elena. Abbiamo cercato con Laura di creare una
continuità con il lavoro fatto in precedenza da Margherita per poi dare alla
nuova Elena la possibilità di staccarsi dal personaggio che aveva raccontato
Margherita, grazie a una scrittura che lo richiedeva perché l’età è diversa, è
una donna adulta, e perché Elena, a partire dalla metà della terza stagione, ma
nella quarta ancora di più, acquista consapevolezza, diventa sempre di più una
donna indipendente. Ma Margherita è stata sempre presente, proprio in maniera
pratica. All’inizio mi registrava le battute, mi ha aiutato nella fase di
ricerca del modo di parlare di Elena quando cercavamo di capire come avrebbe
parlato questa nuova Elena, e lei era lì, mi sosteneva, mi ha aiutato
tantissimo. Quindi sì, Margherita è più che presente”.
Irene Maiorino: “No, io invece ho un processo completamente inverso. Il mio è stato un percorso di grandissima solitudine. Però io ero, come gli altri, innanzitutto una lettrice de L’amica geniale e di tutta l’opera della Ferrante, per cui avevo un rapporto con il personaggio di Lila già molto impelagato, anche per delle questioni mie personali. Il primo libro mi è stato regalato da quella che nella mia vita è la mia amica geniale, prima ancora che la serie fosse messa in cantiere. Questo perché io ho scoperto anche attraverso il lavoro che è durato diversi anni, i provini (che per me è il lavoro più importante perché è quello che poi ti sostiene), ho riscoperto delle cose di me come attrice, della Lila che avrei voluto interpretare, e le ho agganciate a una fisicità, a dei tratti di Gaia Girace che abbiamo in comune. Però io nel tempo li ho interiorizzati, come il suo modo di mettere la bocca, di parlare con una certa tonalità, e chiaramente poi durante la serie faccio un percorso graduale di allontanamento. Però io sentivo doveroso fare questo processo, questo passaggio, anche per il pubblico che si era affezionato a un viso. Nonostante la mia Lila è poi di fondo la Lila che probabilmente vedrete alla fine. Il suo vuoto, il suo dramma, la crepa che finalmente vedremo, lei è quella lì. E io lì finalmente sento di essermi staccata, come è giusto che sia. È stato anche doloroso. Io non avevo mai chiesto di incontrare Gaia, volutamente, perché con lei ho sentito di avere una grandissima gratitudine. Questo passaggio di testimone ha fatto parte di questo processo di segretezza che però aveva quasi del misticismo che aveva anche a che fare con il mio rapporto con il libro. Quindi il giorno in cui ho incontrato Gaia, quando ci siamo incontrate per la prima volta, per me è stato molto emozionante. Ci siamo solo guardate e mi è sembrato molto coerente con il percorso che avevo fatto. Però qualcosa ci siamo dette. Quella scena è potente. Questa è la mia esperienza”.
Fabrizio,
tu ricevi l’eredità di un altro personaggio chiave di questa storia. Quando è
iniziato il tuo rapporto con lui? Come lo hai accolto, facendolo tuo?
Fabrizio Gifuni: “Io
ero quasi completamente a digiuno del mondo de L’amica geniale. Non del mondo
Ferrante, di cui conoscevo alcuni libri, soprattutto L’amore molesto e altri,
ma, anche per questioni di tempo, perché non si può vedere e leggere tutto nel
corso di una vita, non avevo affrontato i 4 libri. Quindi, quando io ho fatto
il provino per HBO e per la RAI sapevo pochissimo di questo personaggio. Soprattutto
non conoscevo l’epica che ruotava intorno a questo personaggio, il guaio in cui
mi sarei andato a ficcare, e forse è il motivo per cui mi hanno teso questo
trappolone, proprio perché ero a digiuno. Poi continuavano a dirmi: ‘guarda,
sei perfetto, è una cosa straordinaria che lo faccia tu', ecc… Per cui ho
iniziato a preoccuparmi. Infatti quando te lo dicono troppo… ‘perché tu sei
molto affidabile, perché dai un’immagine di fiducia’ che non so da dove derivi,
peraltro. Ma ho capito che l’avventura sarebbe stata anche interessante. Ho avuto
qualche dubbio, qualche esitazione iniziale, ma il dubbio, una volta letti
tutti i libri e vista la serie, era semplicemente se avessi voglia di passare
quasi un anno di riprese, più la preparazione, in compagnia di questo
individuo. È questa la domanda che mi sono fatto. Perché comunque noi passiamo
tutta la giornata in compagnia di questa persona, come a uno specchio. È un
meraviglioso gioco, non ce lo dimentichiamo mai cos’è il lavoro dell’attore, soprattutto
in questi fenomeni si finisce per confondersi e dare vita a fenomeni psicotici,
anche quelli interessanti, ma insomma è il gioco dell’attore. Però comunque tu
hai a che fare con questo dalla mattina alla sera, quindi mi sono fatto questa
domanda e ho avuto un po’ di resistenza, non ero sicuro di avere tanta voglia
di passare tutto questo tempo con lui. Sapete tutti chi sia Nino Sarratore e
cosa ruota intorno all’epica a dir poco negativa di questo personaggio che è
una specie di catalizzatore di odio. Ferrante gli ha caricato su un fardello
cromosomico di negatività abbastanza difficile da sostenere. Ho fatto un lavoro
opposto a quello che faccio di solito quando interpreto personaggi di grande
dirittura morale (come Aldo Moro), che è quello di cercare immediatamente gli
angoli bui. Cercare quali fossero le magagne di Aldo Moro, di Luigi Comencini, perché
non esistono persone tutte positive, o tutti dannati come Nino Sarratore. Qui è
stato esattamente l’opposto, la caccia a quei brandelli di luce che questo
personaggio poteva portare. Quando parlo di brandelli di luce, parlo
naturalmente di quello di cui mi sono fatto carico io, cioè Nino Sarratore del
quarto volume, che è un mondo a parte. Nei primi tre, in fondo, lo dico da
lettore, non da esperto, conosciamo un ragazzo affascinante, che fa perdere la
testa alle donne, un discreto intellettuale, abbastanza misterioso, ha delle
caratteristiche per cui questo personaggio è odiatissimo ma anche segretamente amatissimo.
Nino Sarratore nel quarto volume è la caduta, è la trasformazione di un ragazzo
affascinante e misterioso in un uomo ridicolo. È l’esplosione delle patologie
narcisistiche. Il re è nudo. Bisognava raccontare soprattutto questa cosa. Quando
ti fai carico di un personaggio, generalmente lo fai (come Alba e Irene) dall’inizio
alla fine. Qui io mi dovevo prendere sulle spalle soltanto la caduta, il tonfo
di questo uomo. Però poi in me è prevalsa la passione per questo lavoro. Negli ultimi
quattro/cinque anni penso di essere stato molto fortunato, spero di aver
restituito ai personaggi quello che mi hanno dato. Però passare da Leonida Riva
de La Belva ad Aldo Moro, e passare da Nino Sarratore a Luigi Comencini, è una
festa per uno che fa questo mestiere. Perché molto spesso i personaggi ti
possono restare addosso. Anche perché spesso l’industria cinematografica (anche
se adesso un po’ meno, si inizia a godere nello sparigliare le carte) fino a
poco tempo fa funzionava così: gli attori borghesi vs gli attori proletari, gli
attori comici vs gli attori drammatici, per cui tu dopo un po’ vedi sempre gli
stessi attori che fanno gli stessi personaggi, gli stessi ruoli. E, lo dico da
spettatore, io mi annoio moltissimo. Quindi non solo è una festa per chi fa
questo mestiere ma credo anche per gli spettatori vedere un attore o un’attrice
che fa un giorno qualcosa e un giorno qualcosa di completamente diverso. Questo
è il motivo per cui alla fine ho detto ‘me lo carico sulle spalle’. Dove ho
cercato gli elementi di luce? Che sono veramente pochissimi nel quarto volume. Nella
dimensione tragica. Mi sono appellato al mio grande amore per la tragedia greca
e ho pensato che alla fine a questo povero diavolo gli dei hanno dato queste
carte, ha la maledizione della stirpe (perché ha un padre da cui per tutta la
vita ha cercato di fuggire) e, come nelle grandi tragedie, cade esattamente
nella maledizione della stirpe, in modi e in forme diverse replica lo stesso
modello, possibilmente peggiorandolo. Per quanto pure il padre devo dire si è
contraddistinto per certi episodi. E questo è stato. Ho cercato di farlo con
passione, con divertimento. È stata lunga. Aver finito le riprese de L’amica
geniale e aver iniziato il film di Francesca Comencini, Il tempo che ci vuole,
è stata una cosa molto bella e molto affettuosa: entrare da un’altra parte. Comunque
tutti loro sono stati dei compagni di viaggio importanti. Anch’io nel prendere
il testimone ho cercato di intonarmi a quel ragazzo e poi abbiamo creato il
mostro finale”.
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