domenica 10 novembre 2024

"L’amica geniale – Storia della bambina perduta" - Incontro stampa

 di Silvia Sottile


La quarta e ultima stagione della serie evento tratta dai romanzi di Elena Ferrante è stata presentata in anteprima con i primi due episodi alla Festa del Cinema di Roma. Prodotta da HBO-Rai Fiction, la serie tv L'amica geniale - Storia della bambina perdutaandrà in onda su Rai 1 in cinque prime serate, a partire da lunedì 11 novembre.

Diretta da Laura Bispuri (dopo le prime due stagioni dirette da Saverio Costanzo, creatore delle serie, che rimane in veste di produttore esecutivo e sceneggiatore insieme a Francesco Piccolo e Laura Paolucci) l’ultima stagione vede protagoniste Alba Rohrwacher ed Irene Maiorino, affiancate da Fabrizio Gifuni, Stefano Dionisi, Pier Giorgio Bellocchio, Edoardo Pesce e Sonia Bergamasco.

Le protagoniste Lina (Lila) ed Elena (Lenù), ormai adulte, hanno alle spalle anni pieni di cadute e rinascite. Ambedue hanno lottato per abbandonare la prigione di conformismo, violenze e legami difficili da spezzare nella quale hanno dovuto trascorrere l’infanzia.

Elena è una scrittrice affermata, ha lasciato Napoli, si è sposata e poi separata, ha avuto due figlie e torna a Napoli per inseguire un amore giovanile che si è di nuovo materializzato nella sua vita. Lila è rimasta a Napoli, invischiata nei rapporti familiari e camorristici, ma si è inventata una carriera di imprenditrice informatica ed esercita il suo carisma nel ruolo di leader – nascosta ma reale – del rione, pronta allo scontro con i potenti fratelli Solara.

Attraverso le ulteriori prove cui la vita le sottopone, scopriranno nuovi aspetti delle rispettive personalità e del legame d’amicizia che le unisce, nonostante tutto. Intanto, la storia d’Italia e del mondo si srotola sullo sfondo e anche con questa le due donne si dovranno confrontare.

Una produzione Fandango, The Apartment, Fremantle Italy, Wildside e Mowe con Lorenzo Mieli che produce per Fremantle Italy, The Apartment e Wildside (entrambe società del gruppo Fremantle), e Domenico Procacci per Fandango, in collaborazione con Rai Fiction e HBO Entertainment.

 

Foto di Silvia Sottile


Abbiamo incontrato in conferenza stampa alla Festa del Cinema di Roma la regista, il cast, i produttori e gli sceneggiatori. Ecco cosa ci hanno raccontato.

Laura, come è stato entrare in questo mondo che era già stato costruito? Che lavoro hai fatto per tirare le fila di tutto e al tempo stesso fare tuo questo racconto?

Laura Bispuri: “È stata una sfida grandissima. Quando Saverio me l’ha proposto, mi ha emozionato per la fiducia che ha avuto nei miei confronti. È stata una grande avventura, anche complessa. Da una parte avevo enorme rispetto, quasi ossequioso, verso il passato, le precedenti stagioni, i personaggi, la costruzione del mondo creato da Saverio. Mi sentivo di entrare quasi in punta di piedi. Nello stesso tempo non volevo entrare in punta di piedi, volevo portare anche il mio. Sentivo questa spinta alla novità, data anche dal cambio del cast che in qualche modo portava un bisogno di cambiare le cose. Quindi ho cercato di muovermi in questo modo, cercando un’armonia costante e cercando di portare il mio stile, la mia sensibilità, il mio lavoro con gli attori, portare tutto questo al servizio della serie. Leggendo i romanzi della Ferrante, alla fine la cosa che io stringo in mano è questa fortissima capacità che lei ha di raccontare questi personaggi, queste relazioni, queste emozioni, con verità, con sincerità, andando a fondo. Questo è quello che cercavo di fare, cioè avere io stessa un approccio vicino alla verità. Per fare questo dovevo in qualche modo legarmi al mio modo di guardare il mondo però, ripeto, al servizio della serie. È stato un lavoro capillare, giorno per giorno, in cui ho cercato di portare gli attori. A differenza di Daniele Luchetti che nella terza stagione si è trovato a lavorare con attori che già incarnavano i personaggi, la sfida grande di questa stagione era proprio ripartire da zero, riportare tutti i nuovi attori dentro quei personaggi che il pubblico ha tanto amato. È stato un lavoro millimetrico che con grandi attori e attrici è stato un piacere fare. Abbiamo cercato proprio di entrare nell’anima di questi personaggi, nelle sfumature più piccole”.

Saverio, perché hai pensato che la sensibilità di Laura, il suo sguardo, fosse coerente con il racconto a cui abbiamo assistito finora, che tutto fosse omogeneo guardando la serie nella sua interezza?

Saverio Costanzo: “Ho sempre pensato che Laura con i film che aveva fatto avesse mostrato una grande eleganza nel lavoro con gli attori in particolare e L’amica geniale è per me un lavoro sui personaggi e sugli attori. Ha sempre lavorato con personaggi femminili molto pericolosi, e L’amica geniale ha dei personaggi femminili molto pericolosi. Ha dimostrato di non tirarsi indietro rispetto alle sfide più difficili nel racconto dell’anima femminile. E poi perché è elegante, i suoi film lo sono, lo è lei, la sua anima. Non perché è una donna, ci tengo a dirlo. Non è una questione di genere, non credo alle questioni di genere nell’arte. Questo è quello che ci ha portati a lei. Devo dire che 10 episodi girati tutti da un solo regista è un’impresa epica. È come salire sull’Everest. Lei lo ha fatto e non è scontato”.

Non è raro che ci siano film o serie che abbracciando svariati decenni, vedano la presenza di attori e attrici di età diverse che interpretano gli stessi personaggi. Normalmente sono i giovani attori che pendono dalle labbra degli attori e attrici più esperti, bravissimi come voi, per imparare e rubare un po’ di mestiere. Questo caso è invece un po’ particolare perché le giovani attrici che interpretano i vostri ruoli sono state in televisione per tanto tempo, sono diventate delle beniamine del pubblico. Sono state in qualche modo un riferimento per voi?

Alba Rohrwacher: “Sì, sono state più che un riferimento. Almeno il lavoro di Margherita Mazzucco è stato più di un riferimento per me. Ho avuto la fortuna e la possibilità di conoscere Margherita da quando aveva 14 anni. Sono stata presente al suo diventare un’attrice attraverso il lavoro eccezionale che lei ha fatto ne L’amica geniale. Quindi ho lavorato con lei nel buio di una sala di doppiaggio per mesi e mesi, cercando di appoggiare la mia voce alla sua recitazione, cercando di seguire la sua recitazione, di farmi ispirare. È stato un lavoro enorme quello che abbiamo fatto sia con Saverio che con Daniele Luchetti, su Margherita con la mia voce. Quindi ricevere il testimone da lei è stato molto emozionante. Quando abbiamo girato con Daniele l’ultima immagine della terza stagione, ricordo benissimo quella giornata: eravamo vestite tutte e due nello stesso modo, pettinate nello stesso modo, e ci passavamo il testimone di un personaggio tanto importante come quello di Elena. Abbiamo cercato con Laura di creare una continuità con il lavoro fatto in precedenza da Margherita per poi dare alla nuova Elena la possibilità di staccarsi dal personaggio che aveva raccontato Margherita, grazie a una scrittura che lo richiedeva perché l’età è diversa, è una donna adulta, e perché Elena, a partire dalla metà della terza stagione, ma nella quarta ancora di più, acquista consapevolezza, diventa sempre di più una donna indipendente. Ma Margherita è stata sempre presente, proprio in maniera pratica. All’inizio mi registrava le battute, mi ha aiutato nella fase di ricerca del modo di parlare di Elena quando cercavamo di capire come avrebbe parlato questa nuova Elena, e lei era lì, mi sosteneva, mi ha aiutato tantissimo. Quindi sì, Margherita è più che presente”.

Irene Maiorino: “No, io invece ho un processo completamente inverso. Il mio è stato un percorso di grandissima solitudine. Però io ero, come gli altri, innanzitutto una lettrice de L’amica geniale e di tutta l’opera della Ferrante, per cui avevo un rapporto con il personaggio di Lila già molto impelagato, anche per delle questioni mie personali. Il primo libro mi è stato regalato da quella che nella mia vita è la mia amica geniale, prima ancora che la serie fosse messa in cantiere. Questo perché io ho scoperto anche attraverso il lavoro che è durato diversi anni, i provini (che per me è il lavoro più importante perché è quello che poi ti sostiene), ho riscoperto delle cose di me come attrice, della Lila che avrei voluto interpretare, e le ho agganciate a una fisicità, a dei tratti di Gaia Girace che abbiamo in comune. Però io nel tempo li ho interiorizzati, come il suo modo di mettere la bocca, di parlare con una certa tonalità, e chiaramente poi durante la serie faccio un percorso graduale di allontanamento. Però io sentivo doveroso fare questo processo, questo passaggio, anche per il pubblico che si era affezionato a un viso. Nonostante la mia Lila è poi di fondo la Lila che probabilmente vedrete alla fine. Il suo vuoto, il suo dramma, la crepa che finalmente vedremo, lei è quella lì. E io lì finalmente sento di essermi staccata, come è giusto che sia. È stato anche doloroso. Io non avevo mai chiesto di incontrare Gaia, volutamente, perché con lei ho sentito di avere una grandissima gratitudine. Questo passaggio di testimone ha fatto parte di questo processo di segretezza che però aveva quasi del misticismo che aveva anche a che fare con il mio rapporto con il libro. Quindi il giorno in cui ho incontrato Gaia, quando ci siamo incontrate per la prima volta, per me è stato molto emozionante. Ci siamo solo guardate e mi è sembrato molto coerente con il percorso che avevo fatto. Però qualcosa ci siamo dette. Quella scena è potente. Questa è la mia esperienza”.


Foto di Silvia Sottile

Fabrizio, tu ricevi l’eredità di un altro personaggio chiave di questa storia. Quando è iniziato il tuo rapporto con lui? Come lo hai accolto, facendolo tuo?

Fabrizio Gifuni: “Io ero quasi completamente a digiuno del mondo de L’amica geniale. Non del mondo Ferrante, di cui conoscevo alcuni libri, soprattutto L’amore molesto e altri, ma, anche per questioni di tempo, perché non si può vedere e leggere tutto nel corso di una vita, non avevo affrontato i 4 libri. Quindi, quando io ho fatto il provino per HBO e per la RAI sapevo pochissimo di questo personaggio. Soprattutto non conoscevo l’epica che ruotava intorno a questo personaggio, il guaio in cui mi sarei andato a ficcare, e forse è il motivo per cui mi hanno teso questo trappolone, proprio perché ero a digiuno. Poi continuavano a dirmi: ‘guarda, sei perfetto, è una cosa straordinaria che lo faccia tu', ecc… Per cui ho iniziato a preoccuparmi. Infatti quando te lo dicono troppo… ‘perché tu sei molto affidabile, perché dai un’immagine di fiducia’ che non so da dove derivi, peraltro. Ma ho capito che l’avventura sarebbe stata anche interessante. Ho avuto qualche dubbio, qualche esitazione iniziale, ma il dubbio, una volta letti tutti i libri e vista la serie, era semplicemente se avessi voglia di passare quasi un anno di riprese, più la preparazione, in compagnia di questo individuo. È questa la domanda che mi sono fatto. Perché comunque noi passiamo tutta la giornata in compagnia di questa persona, come a uno specchio. È un meraviglioso gioco, non ce lo dimentichiamo mai cos’è il lavoro dell’attore, soprattutto in questi fenomeni si finisce per confondersi e dare vita a fenomeni psicotici, anche quelli interessanti, ma insomma è il gioco dell’attore. Però comunque tu hai a che fare con questo dalla mattina alla sera, quindi mi sono fatto questa domanda e ho avuto un po’ di resistenza, non ero sicuro di avere tanta voglia di passare tutto questo tempo con lui. Sapete tutti chi sia Nino Sarratore e cosa ruota intorno all’epica a dir poco negativa di questo personaggio che è una specie di catalizzatore di odio. Ferrante gli ha caricato su un fardello cromosomico di negatività abbastanza difficile da sostenere. Ho fatto un lavoro opposto a quello che faccio di solito quando interpreto personaggi di grande dirittura morale (come Aldo Moro), che è quello di cercare immediatamente gli angoli bui. Cercare quali fossero le magagne di Aldo Moro, di Luigi Comencini, perché non esistono persone tutte positive, o tutti dannati come Nino Sarratore. Qui è stato esattamente l’opposto, la caccia a quei brandelli di luce che questo personaggio poteva portare. Quando parlo di brandelli di luce, parlo naturalmente di quello di cui mi sono fatto carico io, cioè Nino Sarratore del quarto volume, che è un mondo a parte. Nei primi tre, in fondo, lo dico da lettore, non da esperto, conosciamo un ragazzo affascinante, che fa perdere la testa alle donne, un discreto intellettuale, abbastanza misterioso, ha delle caratteristiche per cui questo personaggio è odiatissimo ma anche segretamente amatissimo. Nino Sarratore nel quarto volume è la caduta, è la trasformazione di un ragazzo affascinante e misterioso in un uomo ridicolo. È l’esplosione delle patologie narcisistiche. Il re è nudo. Bisognava raccontare soprattutto questa cosa. Quando ti fai carico di un personaggio, generalmente lo fai (come Alba e Irene) dall’inizio alla fine. Qui io mi dovevo prendere sulle spalle soltanto la caduta, il tonfo di questo uomo. Però poi in me è prevalsa la passione per questo lavoro. Negli ultimi quattro/cinque anni penso di essere stato molto fortunato, spero di aver restituito ai personaggi quello che mi hanno dato. Però passare da Leonida Riva de La Belva ad Aldo Moro, e passare da Nino Sarratore a Luigi Comencini, è una festa per uno che fa questo mestiere. Perché molto spesso i personaggi ti possono restare addosso. Anche perché spesso l’industria cinematografica (anche se adesso un po’ meno, si inizia a godere nello sparigliare le carte) fino a poco tempo fa funzionava così: gli attori borghesi vs gli attori proletari, gli attori comici vs gli attori drammatici, per cui tu dopo un po’ vedi sempre gli stessi attori che fanno gli stessi personaggi, gli stessi ruoli. E, lo dico da spettatore, io mi annoio moltissimo. Quindi non solo è una festa per chi fa questo mestiere ma credo anche per gli spettatori vedere un attore o un’attrice che fa un giorno qualcosa e un giorno qualcosa di completamente diverso. Questo è il motivo per cui alla fine ho detto ‘me lo carico sulle spalle’. Dove ho cercato gli elementi di luce? Che sono veramente pochissimi nel quarto volume. Nella dimensione tragica. Mi sono appellato al mio grande amore per la tragedia greca e ho pensato che alla fine a questo povero diavolo gli dei hanno dato queste carte, ha la maledizione della stirpe (perché ha un padre da cui per tutta la vita ha cercato di fuggire) e, come nelle grandi tragedie, cade esattamente nella maledizione della stirpe, in modi e in forme diverse replica lo stesso modello, possibilmente peggiorandolo. Per quanto pure il padre devo dire si è contraddistinto per certi episodi. E questo è stato. Ho cercato di farlo con passione, con divertimento. È stata lunga. Aver finito le riprese de L’amica geniale e aver iniziato il film di Francesca Comencini, Il tempo che ci vuole, è stata una cosa molto bella e molto affettuosa: entrare da un’altra parte. Comunque tutti loro sono stati dei compagni di viaggio importanti. Anch’io nel prendere il testimone ho cercato di intonarmi a quel ragazzo e poi abbiamo creato il mostro finale”.


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